Il Presidente del CO.E.S. Italia Moreno Montanari sottolinea: «Abbiamo avuto cinque morti e un numero imprecisato di contagiati. Ma dalle istituzioni silenzio totale». Continua la battaglia per il riconoscimento del profilo professionale: «A dicembre accordo a un passo con la Conferenza delle Regioni, poi silenzio. Urgente riforma servizio 118»
Come medici e infermieri, sono stati in prima linea durante le settimane più calde dell’emergenza Covid-19. Hanno contato cinque vittime causate dal terribile virus e un numero imprecisato di contagiati. Eppure, la politica, con la lodevole eccezione del Presidente della Repubblica, sembra essersi dimenticata di loro. Parliamo degli autisti soccorritori: sui mezzi di soccorso che sfrecciavano per le nostre strade deserte durante il lockdown loro c’erano sempre, protetti dalla testa ai piedi, con le paure e le difficoltà con cui tanti operatori sanitari hanno dovuto fare i conti in quei momenti difficili. Quando uscivano la mattina non sapevano se la sera avrebbero rivisto i loro cari: un tampone positivo e cominciava la lunga odissea.
«Tutta la categoria è molto amareggiata per il fatto che non è stata coinvolta dalle istituzioni nazionali. Anche perché in qualsiasi mezzo di soccorso, in qualsiasi ambulanza c’è sempre un autista soccorritore. Senza nulla togliere a medici, infermieri e volontari, è una categoria che deve essere riconosciuta» spiega a Sanità Informazione Moreno Montanari, Presidente del CO.E.S. Italia (Conducenti Emergenza Sanitari), l’associazione di categoria.
La premiazione di Giovanni Moresi, autista soccorritore del Pronto Soccorso 118 di Piacenza, a cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica, ha solo in parte ripagato l’amarezza di questi giorni. Perché nei tavoli istituzionali e nei progetti di ristrutturazione della sanità la voce degli autisti soccorritori non c’è. Eppure, da anni va avanti la loro battaglia storica per il riconoscimento del profilo professionale: a dicembre la trattativa con la Conferenza delle Regioni sembrava a buon punto, ma dopo è arrivato il Covid-19 e tutto è stato fermato.
LEGGI ANCHE: CORONAVIRUS, L’AUTISTA SOCCORRITORE: «ANCHE TRE ATTIVAZIONI DI CASI SOSPETTI A TURNO, SIAMO SOTTO STRESS»
Intanto, però, alle famiglie dei cinque autisti soccorritori deceduti causa Covid non spetteranno i soldi previsti dal Cura Italia con il Fondo di Solidarietà. «Abbiamo avuto cinque deceduti. Il numero dei contagiati non è noto, perché in alcune regioni le associazioni di volontariato sono restie a fornire i dati: nella sola Emilia-Romagna ne abbiamo avuti 45. Moltiplicando questa cifra per tutte le regioni viene un numero importante» continua il Presidente del CO.E.S. che non nasconde l’amarezza per l’esclusione dal Fondo di solidarietà. «Come CO.E.S. Italia, se avessimo avuto i fondi, ci saremmo sostituiti al Governo per offrire un piccolo contributo alle famiglie. Noi possiamo fare solo un telegramma di condoglianze come purtroppo abbiamo fatto. Siamo un po’ disarmati, non abbiamo grandi possibilità economiche».
La battaglia per la creazione del profilo professionale e una riforma del Servizio 118 che parta da loro però va avanti. A dicembre sembrava fatta: c’era l’accordo con la Commissione Salute della Conferenza delle Regioni che prevedeva una formazione di 500 ore per il profilo di autista soccorritore. Da dicembre in poi silenzio totale.
«I sindacati a maggio hanno scritto una lettera per sensibilizzare il presidente della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni. Ci aspettiamo che i nuovi vertici riprendano i lavori – spiega Montanari -. Quello che da più parti si è confermato è una reticenza da parte delle regioni ad arrivare a un accordo. Il profilo, per come l’abbiamo costruito, non va a danneggiare nessun organigramma, nessun 118. Non va a stravolgere un sistema».
Secondo Montanari a frenare le regioni è l’aspetto economico: l’uniformità della figura professionale in tutta Italia (e non con le differenze tra regioni che ci sono adesso) porterebbe ad equiparare tutto il personale al livello C, compreso chi è stato assunto a livello BS. Questo provocherebbe un aumento dei costi, ed ecco spiegati i tentennamenti delle regioni. Oltre alla atavica ritrosia delle associazioni di volontariato che in alcune regioni gestiscono il servizio.
«Non c’è stato modo e maniera di riuscire a farli ragionare e convincerli che il nostro obiettivo non è quello di ostacolare il volontario ma di lavorare insieme al volontario – continua Montanari -. Anche perché nelle ANPAS, nelle Misericordie, nella Croce Rossa si nasce soccorritore: si fa il corso, l’addestramento, l’affiancamento e poi con il passare del tempo si diventa autista soccorritore. A volte può passare un anno o due prima di poter guidare l’ambulanza. Andando a mettere nero su bianco le ore di affiancamento e le ore di guida che fa il volontario che diventa autista alla fine sono molto più di 500 ore. Noi non faremmo altro che creare un iter formativo scolastico di 500 ore per chi vuole l’attestato di autista soccorritore e partecipare ai concorsi o diventare volontario».
In questo modo, con l’attestato, ogni ‘diplomato’ può diventare autista soccorritore in qualsiasi regione e non solo nella regione dove ha conseguito il titolo. Mentre adesso, in genere, il requisito richiesto è quello di cinque anni di esperienza pregressa.
«Se vogliono riformare il 118-112 e migliorare il sistema bisogna partire da una migliore professionalizzazione sia dei volontari che dei dipendenti: devono partire dalla base, dall’autista, da chi sicuramente nell’ambulanza c’è. Se si vuole migliorare il 118 dobbiamo mettere gli infermieri e i professionisti sulle ambulanze. Io posso risparmiare due-tre milioni mettendo tutti volontari ma poi se in un intervento di un paziente neurologico c’è un ritardo di due-tre ore nel trattamento o non c’è un infermiere presente perché impegnato in un altro scenario, questo paziente rimane invalido e a carico del SSN per sempre. Quindi il risparmio che avevo l’ho buttato via».
Il periodo dell’emergenza è stato molto difficile, anche da un punto di vista emotivo: «Dai primi di marzo ci è caduto tutto addosso. Sembrava quasi un film horror. Normalmente andavamo a casa dei pazienti in totale tranquillità e col sorriso, dai primi di marzo siamo mascherati e neanche ci possono vedere sorridere. La tranquillità non la potevamo neanche dimostrare» spiega il Presidente CO.E.S. che puntualizza: «Ogni settimana dovevamo guardare la mail aziendale dove sarebbe arrivata la nuova procedura per la vestizione e la svestizione in sicurezza. Purtroppo, alcune procedure si sono rivelate non sicure. Ci sono stati casi di autisti che hanno infettato mogli e figli e sono andati tutti in quarantena. Ci sono casi in cui l’autista è stato chiamato a fare la lastra al torace o il tampone e, in caso di positività, veniva di punto in bianco messo in quarantena e allontanato dal nucleo familiare. Quando uscivamo di casa non sapevamo mai se saremmo tornati a casa la sera, dopo 20 giorni oppure mai».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO