Il sindacato, guidato dal beneventano Claudio Coppola, punta ad avere potere contrattuale con gli organi governativi. Il vicepresidente Vernillo denuncia le carenze sul Covid: «A volte non abbiamo nemmeno le tute che ci dovrebbero isolare dai pazienti»
«Chiediamo dignità per il nostro lavoro. Non abbiamo un codice deontologico, non abbiamo una normativa professionale, non abbiamo nulla. Navighiamo a vista. Il nostro scopo è quello di far riconoscere la figura dell’autista soccorritore a livello nazionale». Così Benito Vernillo, vicepresidente della FASI (Federazione Autisti Soccorritori Italiani) presenta a Sanità Informazione il sindacato che si qualifica come primo sindacato di categoria.
La Federazione nasce a Benevento dove, si legge sul sito web della FASI, la realtà emergenziale «risulta essere a buon punto di sviluppo se paragonata ad altri territori italiani dove essa presenta carenze ancora a tutt’oggi evidenti all’occhio dell’utenza tutta». «Ma siamo in espansione, puntiamo ad allargarci in tutta Italia» assicura Vernillo. A guidare la federazione è il beneventano Claudio Coppola.
Il tema di fondo è quello portato avanti da anni dalle altre associazioni di categoria come il CO.E.S., da anni in prima linea, e alle quali la FASI mostra pubblicamente la sua gratitudine. Ma ora lancia una sfida più ambiziosa: quella di dare forza ad un nuovo sindacato strutturato che «possa avere potere contrattuale con gli organi governativi».
L’obiettivo dichiarato è quello di creare il profilo professionale di autista soccorritore e avere una formazione almeno biennale riconosciuta dallo Stato. «Tutti gli autisti soccorritori italiano hanno come formazione il BLS, Basic Life Support, impariamo ad usare il defibrillatore – spiega Vernillo -. Però noi sul campo abbiamo sviluppato ben altre competenze anche meccaniche: quando rimaniamo sulle montagne fermi con le ambulanze dobbiamo cambiare le ruote, dobbiamo saper riconoscere i rumori del motore altrimenti rimaniamo a piedi. Siamo spalla a spalla con medici e rianimatori, ma tutto questo non ci è stato mai riconosciuto».
Vernillo racconta anche i difficili momenti che stanno vivendo gli autisti soccorritori in questi giorni di seconda ondata di Covid-19 che stanno mettendo sotto stress tutto il Sistema sanitario nazionale: «Sono giorni di lavoro, tensione e stress – racconta il sindacalista -. Non c’è una normativa che ci tutela. Inoltre non sappiamo come comportarci perché la normativa non è uguale in tutta Italia. A volte siamo carenti anche di quelle tute che ci dovrebbero isolare dai pazienti, non abbiamo presìdi, i medici si lamentano perché vogliono che andiamo nelle case ma noi senza protezioni non possiamo andare».
Di fronte allo spettacolo delle ambulanze in coda ai Pronto Soccorso, Vernillo spiega: «I Pronto Soccorso sono congestionati, c’è panico generalizzato perché tutti chiamano a causa del Covid: quando c’è una sintomatologia come febbre e tosse noi siamo tenuti a portarli in ospedale».
«Il problema – ammette – non è tanto per noi, ma per l’utenza in generale perché noi, restando in queste code, lasciamo sguarnito un territorio. Se dovesse accadere qualcosa di più grave può capitare che non ci siano ambulanze libere».
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