Intervista al segretario nazionale Anaao-Assomed Carlo Palermo: «Nei prossimi 8 anni nelle aziende sanitarie ci saranno 250 milioni di euro di “retribuzione individuale di anzianità”. Basterebbe una frase in legge di Bilancio per sbloccarli, ma in ogni caso siamo pronti a partire con le diffide». Amaro il giudizio sul testo della legge di Bilancio: «Mancano tre provvedimenti fondamentali…»
La ricerca di modi per rendere più appetibile il lavoro ospedaliero è disperata, a tratti tragica. I giovani medici scappano all’estero, i meno giovani vengono corteggiati dal privato. I concorsi vanno deserti e le corsie degli ospedali rischiano di fare la stessa fine. Non sarà solo una questione di stipendi, ma non c’è dubbio che il vil denaro giochi un ruolo importante in questa partita. Ecco perché 250 milioni di euro, nei prossimi 7-8 anni, farebbero parecchio comodo a chi sta cercando di tenere in vita il Sistema sanitario nazionale. «Sì, ma da dove li prendiamo tutti questi soldi?», si chiederanno gli scettici e chi, in queste ore, è alle prese con la legge di Bilancio. In realtà ci sono già. Vanno solo utilizzati in modo diverso. È Carlo Palermo, il segretario nazionale del sindacato Anaao-Assomed, a spiegare il meccanismo: «Si tratta della Retribuzione individuale di anzianità (Ria), ovvero quei soldi che, al momento della pensione, lascia in azienda chi era in servizio prima del 1996. Un meccanismo bloccato nel 2010 con la crisi economica e mai più ripristinato».
Di che cifre stiamo parlando?
«In media ogni medico che va in pensione lascia una Ria di circa 5mila euro. Se li moltiplichiamo per 50mila, ovvero il numero di camici bianchi che andranno in pensione nei prossimi 7-8 anni, il totale fa una bella cifra».
E in che modo potrebbe essere utilizzata?
«Ad esempio per la progressione di carriera, o la remunerazione del disagio, o incrementare le indennità di servizio notturno e festivo».
In questi anni di blocco, invece, in che modo sono stati utilizzati questi soldi?
«Sono andati dispersi in mille rivoli. Possono essere stati utilizzati per un congresso, o una convenzione con studi legali o società di management sanitari. Ma vista la sofferenza che c’è negli ospedali e nelle aziende, forse sarebbe il caso di non disperderli più e di utilizzarli per qualcosa di più importante per questa particolare fase storica. Anche perché sono soldi nostri, per così dire. Appartengono alla storia della nostra categoria».
Quindi non sarebbe necessario un finanziamento ad hoc da parte dello Stato.
«Assolutamente no, perché queste risorse rimangono nelle disponibilità delle aziende. Chiediamo solo di rispristinare il meccanismo com’era una volta. Anche perché, con il rinnovo del contratto, la nostra parte l’abbiamo fatta».
Cioè?
«Abbiamo ottemperato al comma 1 dell’articolo 23 della legge Madia, che prevedeva il blocco della retribuzione accessoria fino a quando non si fosse provveduto alla progressiva armonizzazione dei fondi accessori. Abbiamo armonizzato i fondi accessori e quindi, secondo noi, la Ria è liberata».
Non è necessario un provvedimento legislativo per sbloccarla?
«Basterebbe prevedere nella legge di Bilancio una norma che dica che per le categorie che hanno ottemperato, con il contratto di categoria, a quanto previsto dalla legge Madia la retribuzione accessoria non è più bloccata. Basta un articolo di questo genere per cambiare totalmente la prospettiva, anche se le aziende dovrebbero in ogni caso mettere le risorse della Ria nei fondi aziendali».
Altrimenti?
«Altrimenti bisogna arrivare ad un contenzioso con le singole aziende, a cui tra l’altro noi ci stiamo già preparando. Bisognerebbe diffidarle tutte e dire “noi abbiamo ottemperato alla Legge, ora voi non potete più tagliare la Ria”».
Ma se le aziende hanno utilizzato questi fondi in mille rivoli, come diceva, non ci sono più…
«Infatti parliamo di quelli lasciati da chi va in pensione dal 2019 in poi. Senza dimenticare che il meccanismo è montante: se il primo anno sono 30 milioni, il secondo sono 60. Quelli dell’anno pregresso vengono trasferiti sull’anno successivo, per cui alla fine le cifre sono importanti».
Cosa pensa del testo della legge di Bilancio?
«Mancano i tre provvedimenti che ci aspettavamo. Oltre a quello sulla Ria, manca un accenno all’incremento delle dotazioni organiche, ovvero la vera causa delle liste d’attesa. Le liste d’attesa che pesano sui pazienti sono per le visite specialistiche, per la diagnostica di secondo livello (tac e risonanze magnetiche, ad esempio), per la chirurgia minore (come ernie, colecisti non complicate, protesi d’anca o di ginocchio eccetera). Le liste d’attesa non sono per la diagnosi di primo livello, che può essere risolvibile in tanti modi. E poi manca qualsiasi idea di defiscalizzazione o di investimento specifico per la produttività aggiuntiva, che permetterebbe di mettere a disposizione milioni di ore per abbattere queste attese. Senza dimenticare, infine, che non c’è niente sull’incremento delle borse di specializzazione».