Il corso fa parte della collana dedicata al Covid-19 del provider Sanità in-Formazione. Giulia Driussi (responsabile scientifico): «Si può garantire una rianimazione efficace per le vittime e al contempo sicura per l’operatore che la effettua»
Soccorrere le persone colpite da arresto cardiaco e allo stesso tempo garantire una protezione adeguata per i soccorritori: è questo l’obiettivo del corso FAD “BLSD e Covid-19, cosa cambia? Le nuove linee guida internazionali” promosso dal provider Sanità in-Formazione.
La rianimazione cardio-polmonare è una procedura che espone al rischio infettivo il soccorritore ed essendo ogni persona potenzialmente positiva al Sars-Cov-2, è stato necessario rivedere e adeguare le indicazioni riguardanti il Basic Life Support & Defibrillation. Il corso vuole diffondere le raccomandazioni internazionali appena emanate dall’Italian Resuscitation Council (IRC) e dall’American Heart Association (AHA) su come effettuare una RCP efficace per la vittima e sicura per l’operatore. La paura del contagio, infatti, può ridurre la quantità di interventi tempestivi e la sopravvivenza dei pazienti colpiti da arresto cardiaco.
«Abbiamo strutturato il corso seguendo le linee guida internazionali più importanti e studiandole noi per primi – spiega al nostro giornale Giulia Driussi, responsabile scientifico insieme al professor Giuseppe Petrella –. Io stessa ho dovuto modificare il mio lavoro, perché mi sono trovata a dover assistere dei bambini con un’infezione sospetta o accertata da Covid. Il mio reparto ha dovuto cambiare identità e così tutti gli operatori che ne fanno parte».
La dottoressa Giulia Driussi, infatti, lavora al centro Covid dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Palidoro ed è formatrice ed istruttrice nazionale di Basic Life Support & Defibrillation e di Primo Soccorso Pediatrico.
«Per quanto riguarda il corso – continua la dottoressa – abbiamo approfondito due studi: uno fatto in Cina, a Wuhan, e un altro nelle province dell’Italia settentrionale più colpite dal virus. Entrambi, hanno evidenziato un incremento dei casi di arresto cardiopolmonare. Ogni volta che si esegue una RCP – prosegue -, soprattutto se la vittima è sconosciuta, l’operatore ha davanti a sé una certa possibilità di rischio; questo vale ancor di più per le procedure nei malati di Covid-19».
Un alto rischio che però può essere contenuto «con i dispositivi di protezione individuale adeguati, soprattutto in caso di aerosolizzazione, e lo studio di algoritmi modificati come quelli che si trovano nel corso» precisa l’esperta.
Un particolare focus sarà dedicato ai soccorsi extra-ospedalieri che, spesso, non garantiscono ai soccorritori dispositivi di protezione individuale appropriati. «Sicuramente per questa categoria si predilige la RCP Hands-Only con cui si producono solo le compressioni senza le ventilazioni. È importante ricordare che se non si ha una mascherina chirurgica in più da porre sul volto della vittima è opportuno utilizzare una sciarpa o qualcosa che vada a coprire la bocca per ridurre l’esposizione del soccorritore. Inoltre, per il personale non sanitario, va esclusa ogni tipo di ventilazione bocca a bocca» conclude la dottoressa Driussi.
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