Lavoro e Professioni 21 Giugno 2019 16:29

Calo vocazioni, Paolo De Paolis (Presidente Sic) ai giovani: «Tornate ad amare il mestiere più bello del mondo»

«Nonostante il momento difficile per la nostra professione, sapere che c’è un giovane brillante che ha espresso il desiderio di fare il chirurgo è un’inversione di rotta – ammette compiaciuto il professor De Paolis, presidente della Società italiana chirurgia – . I giovani respirano il malcontento dei chirurghi che sono sottoposti a condizioni lavorative difficili, poche gratificazioni e rischi medico legali»

Calo vocazioni, Paolo De Paolis (Presidente Sic) ai giovani: «Tornate ad amare il mestiere più bello del mondo»

«Da grande voglio fare il chirurgo e salvare vite». Silvio Cristofalo è uno studente modello del liceo Classico Manzoni di Milano che in questi giorni sta affrontando una delle prove più significative della sua vita: l’esame di maturità. Tutti dieci in pagella e un futuro già scritto: farà il chirurgo. «La gente – ha confessato il ragazzo al Corriere della Sera – non vede altro che il ragazzo studioso e sempre sorridente, ma dietro c’è tanta fatica e a volte mi sento insicuro. Forse un giorno con una operazione al cuore salverò qualcuno».

Un sogno, quello di fare il medico chirurgo, che ha provocato la grandissima soddisfazione della Società italiana chirurgia che ha risposto al giovane, sempre sulla pagine del Corriere, con una lettera di congratulazioni ed incoraggiamento. Abbiamo raggiunto telefonicamente il presidente della Sic, il professor Paolo De Paolis, per un commento sulla vicenda.

«La lettera a Silvio è stata un’iniziativa presa da tutto il Consiglio Direttivo; è un fatto importante e significativo in un momento in cui soffriamo in termini di immagine – che per il chirurgo è sempre stata molto alta ed oggi, invece, si trova in seria difficoltà – dato che i giovani si allontanano da una professione che è appassionante. Vedere, finalmente, che c’è un giovane brillante che ha chiaramente espresso il desiderio di fare il chirurgo è un’inversione di rotta. Individuato in una singola esperienza, è vero, ma proprio perché è così significativa ci teniamo perché pensiamo che, a rimorchio, porti con sé una serie di considerazioni di altre passioni che hanno solo il germe oggi ma potrebbero generare una bella schiera di nuovi giovani domani».

Come nasce la lettera della Sic?

«Nasce dalla pubblicazione sul Corriere della Sera di storie e vicende di studenti nell’ambito degli esami di maturità. In particolare, ci ha colpito quella di questo giovane ragazzo così brillante ed il fatto che avesse in mente questa professione, ripeto, in un periodo in cui ci siamo resi conto, numeri alla mano, che c’è un calo di medici ma, soprattutto, di chirurghi».

Perché, secondo lei, c’è un calo di vocazioni?

«Molti sostengono, ed è certamente vero, che sia colpa del contenzioso medico-legale. Io credo che, oltre a questo, sia da attribuire al fatto che i giovani che cominciano a frequentare gli ospedali nell’ambito della Facoltà di Medicina nei reparti chirurgici leggono e respirano il malcontento della classe medica durante il percorso di studi. Anni fa, cominciando a frequentare i reparti chirurgici si poteva osservare un lavoro appassionante, fatto con dedizione. Oggi questa atmosfera è venuta a mancare perché i chirurghi sono sottoposti a condizioni lavorative difficili, poche gratificazioni e rischi medico legali che li rendono insoddisfatti. Questa insoddisfazione viene letta dai più giovani  che, anziché appassionarsi, si allontanano verso altre specialità più rassicuranti. È più facile che i giovani si lascino appassionare da un ambito lavorativo dove c’è più entusiasmo e soddisfazione».

E perché, oggi, i chirurghi non sono più appassionati?

«Perché le strutture ospedaliere non sono più adeguate, perché ciò che ritengono adeguato manca dal punto di vista degli strumenti e delle possibilità, dell’autonomia e delle responsabilità. Perché anche il trattamento economico dovrebbe essere adeguato. Queste sono le ragioni. Per questo, vedere un giovane così motivato significa che non tutto è perso; non cerchiamo il pessimismo e la lamentela, ma ragioni per riportarli ad amare questa professione. E abbiamo subito colto questa occasione».

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