Il Presidente della Federazione CIMO-FESMED: «Ci sono grossi poli che cercano di entrare a gamba tesa nella sanità. E in questo caso la sicurezza delle cure non potrà essere garantita: chi non le ha le risorse economiche non potrà essere curato»
All’appuntamento con il Covid-19, ormai due anni fa, i medici ospedalieri italiani arrivarono già stanchi, frustrati e delusi. Vittime di aggressioni, di una soffocante burocrazia, con turni di lavoro massacranti ed insufficienti gratificazioni economiche e sociali. «Dieci anni di sottofinanziamento, blocco del turn over e gobba pensionistica. I medici ospedalieri sono arrivati stanchissimi, hanno retto per due anni ma non so fino a che punto potranno farlo se le condizioni di lavoro non cambiano». Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED, commenta così, ai microfoni di Sanità Informazione lo stato di frustrazione e le difficoltà in cui si trovano ad operare i camici bianchi.
D’altronde, lo stato di malumore profondo che attraversa la categoria è emerso chiaramente dal recente sondaggio della CIMO-FESMED, sindacato che rappresenta oltre 18mila camici bianchi. Solo il 28% dei 4.258 medici di tutta Italia aderenti all’indagine continuerebbe a lavorare in una struttura pubblica. Gli altri sceglierebbero l’estero (26%) vorrebbero lavorare in una struttura privata (14%) esercitare la libera professione (13%) o anticipare il pensionamento (19%).
Un malcontento reso più profondo ed esasperato dall’emergenza sanitaria. Medici ed infermieri, per sopperire alle carenze del sistema, hanno sacrificato affetti e vita privata. Il report rileva che il 43% dei medici ha tra gli 11 e i 50 giorni di ferie accumulate; il 24% tra i 51 e i 100 giorni; il 18% ha accumulato più di 100 giorni di ferie arretrate. E non basta. Il 73% degli intervistati lavora più di quanto previsto dal contratto (38 ore settimanali) ed il 20% di questi è addirittura costretto a lavorare più di 48 ore a settimana. «Alla faccia della legge dello Stato e della normativa europea» continua Quici – i medici sono ostaggi degli ospedali».
«Un segnale di allarme importante – aggiunge Quici – un contesto che va rivisto a 360° con la valorizzazione delle professioni. Tra mancate prospettive di carriera, salario basso, turni massacranti, medici denunciati e aggrediti chi vuole ancora continuare a lavorare negli ospedali?».
Ed è talmente vero che non ci sono medici che alcune regioni, in assenza di professionisti disponibili a lavorare nel Servizio pubblico, pubblicano gare di appalto rivolte a soggetti privati. Introducono negli ospedali medici dipendenti della società privata stessa, e non del Servizio sanitario regionale. «Non si conoscono pertanto – spiega la CIMO-FESMED – le condizioni con le quali il privato vincitore dell’appalto assume questi medici, né con quale retribuzione, con quali condizioni contrattuali o tutele. Ma spesso si tratta di medici appena laureati o con specializzazioni diverse rispetto al fabbisogno ospedaliero. Il sindacato fa sapere che «negli ospedali veneti ci sono interi reparti gestiti da cooperative private. Bandi per appalti simili sono stati pubblicati anche nelle Marche e in Liguria lo scenario è simile».
Secondo il governatore del Veneto Luca Zaia, ricorrere alle cooperative è l’unica alternativa per colmare la carenza di personale. Di opinione opposta, la CIMO-FESMED per cui «si tratta di una preoccupante e quantomeno discutibile commistione pubblico-privato causata dalle difficoltà incontrate dal Servizio sanitario ad assumere specialisti. Una ferita della quale il privato si sta approfittando per addentrarsi nella sanità pubblica, e che va assolutamente sanata».
In che modo? Con una riforma complessiva dell’organizzazione ospedaliera, altrimenti presto «affidarsi alle cooperative private costituirà veramente l’unica alternativa per trovare medici che lavorino in ospedale – sottolinea Quici -. Ci sono grossi poli che cercano di entrare a gamba tesa nella sanità. E in questo caso la sicurezza delle cure non potrà essere garantita: chi non le ha le risorse economiche non potrà essere curato. Questa è la deriva che bisogna assolutamente evitare» conclude.
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