Lavoro e Professioni 26 Maggio 2021 10:01

Case di Comunità e dipendenza MMG da SSN, tutti i rischi della riforma della medicina di famiglia

Le opinioni di Pina Onotri (SMI), Domenico Crisarà (FIMMG) e Angelo Testa (SNAMI) sul progetto contenuto nel Recovery Plan che punta al riassetto della medicina del territorio con le Case di Comunità

La sanità del futuro, dopo la pandemia da Covid, passa per un riordino della medicina del territorio, tema ormai da mesi al centro dell’agenda della politica. Ma è sul ruolo e sulla contrattualizzazione dei medici di medicina generale e sul riassetto di questo settore della sanità italiana che si sta sviluppando un dibattito che vede posizioni molto diverse con, almeno apparentemente, governo e sindacati su posizioni molto distanti.

A far discutere è il Recovery Plan, inviato a Bruxelles alla fine di aprile, dove è stato tracciato un nuovo modello di territorio basato sulle Case di Comunità che riuniranno in un’unica struttura di quartiere i medici di famiglia, gli specialisti, gli infermieri e gli assistenti sociali e che offrirà assistenza dalle 8 alle 20. Con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ne saranno aperte 1.288 entro il 2026 per avere una “Casa” ogni 20mila abitanti.

Addio agli studi medici

In realtà il sistema delle Case della Salute è già in vigore in molte regioni ma, ad eccezione dell’Emilia Romagna, non ha riscosso grande successo restando ampiamente incompiuto. Il corollario di questa scelta potrebbe essere il passaggio dei medici di medicina generale dal rapporto di convenzione a quello di dipendenza diretta dal SSN. Ciò potrebbe significare la fine del sistema degli studi medici e della prossimità e capillarità di questi camici bianchi, da sempre fiore all’occhiello dell’Italia. Senza contare l’ulteriore conseguenza della crisi dell’Enpam, la cassa previdenziale dei medici, perché, come ha ricordato il presidente Alberto Oliveti «se si interrompesse il più importante flusso contributivo verso l’Ente, affonderebbe l’intero sistema pensionistico dei medici e degli odontoiatri».

Per ora solo congetture, perché non esiste un vero e proprio progetto in questo senso. Ma i sindacati sono sul piede di guerra e sono compatti nel contrastare la riforma della medicina del territorio che esce dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, lamentano la scarsità di chiarezza e chiedono un immediato coinvolgimento su scelte che toccano da vicino la categoria. Se Pina Onotri (SMI) lancia il modello di una «dipendenza atipica», Domenico Crisarà (FIMMG) è fautore del microteam e di una «remunerazione basata sui risultati», mentre Angelo Testa (SNAMI) attacca: «Progetto contraddittorio».

Testa (SNAMI): «Recovery Plan scritto da chi abita in una metropoli»

«Solo chi non conosce il Paese può scrivere una cosa di questo tipo», tuona il Presidente nazionale dello SNAMI Angelo Testa, critico verso il PNRR. «C’è una contraddizione nel progetto: tutto nasce dalla necessità di rafforzare la medicina del territorio. Ma le Case di Comunità vanno nella direzione opposta. A noi quel documento sembra scritto da una persona che vive in una metropoli. Abbiamo due tipi di medicina territoriale: una metropolitana e una rurale. La maggior parte dei medici di famiglia lavorano al di fuori della grande città. Se noi andiamo a mettere la Casa della Comunità, andiamo a togliere le risorse a quei territori che già non hanno gli ospedali e le infrastrutture che invece le città hanno».

Testa lamenta la poca chiarezza del governo e mette in guardia sulle conseguenze che una simile scelta può comportare: «Dubito che si potrà fare la Casa di Comunità in un paesino di mille abitanti: la si farà in quello di 15-20 mila. Io lavoro in quattro paesini dove il più grande ha 1700 abitanti e ho quattro studi. Cosa faremo in quei posti?».

Testa respinge anche l’ipotesi di far passare i MMG alla dipendenza diretta dal SSN: «Se lo Stato vuole questo che lo dica chiaramente. Così sembra che vogliano solamente svuotare la sanità territoriale per farne qualcosa di diverso. È legittimo ma lo devono spiegare agli elettori».

Onotri (SMI): «Possibile una dipendenza atipica, ma studi devono restare»

«Chiediamo l’apertura di un tavolo sulla medicina generale». Così ci dice Pina Onotri, Segretario generale del Sindacato Medici Italiani, secondo la quale si potrebbe puntare su una “dipendenza atipica” senza però abolire gli studi medici. «Non possono essere aboliti gli studi dei MMG e le postazioni di guardia medica perché sono presidi capillari che troviamo in ogni quartiere o paese. Questo è il successo del sistema salute nel nostro Paese: siamo facilmente accessibili. Vorremmo però una omogeneizzazione delle aree contrattuali della medicina generale. Noi oggi abbiamo un contratto con l’Accordo Collettivo Nazionale che raccoglie i medici di assistenza primaria, i medici di continuità assistenziale, la medicina dei servizi, il 118 e la specialistica ambulatoriale. La medicina dei servizi e la specialistica ambulatoriale godono di tutele tipiche del contratto della dipendenza (ferie, maternità, malattia, trattamento di fine rapporto). Potrebbe essere un primo step per garantire di più i medici di medicina generale e inserirli all’interno di un sistema un po’ più complesso».

Il sistema delle Case di Comunità impostato nel PNRR non entusiasma lo SMI: «La stessa Agenas – ricorda Onotri – ha recentemente sottolineato che rischiano di rimanere cattedrali nel deserto o dei duplicati dei distretti sanitari che già esistono. Non si può ridurre tutto lì dentro anche perché non raggiungeranno tutti gli italiani. Le persone anziane hanno il loro medico di riferimento facilmente raggiungibile. Non sono l’alternativa agli studi medici di medicina generale».

Il medico dei servizi, una figura da tenere in considerazione

Secondo Onotri una figura a cui guardare è quella del medico dei servizi: «In molte regioni abbiamo dei medici dei servizi che sono addetti ai servizi essenziali: parlo delle autorizzazioni sanitarie, dei prelievi o della medicina necroscopica che hanno dei contratti da anni a tempo determinato perché era un’area che doveva passare alla dipendenza. Invece ci si è accorti che avere dei medici convenzionati nella struttura realizza quella continuità tra ospedale e territorio: i medici collaborano con le tutele dei dipendenti ma sono allo stesso tempo a contratto a convenzione».

La riforma della medicina generale passa, per Onotri, anche da una riforma della formazione MMG che dovrebbe far diventare la medicina generale una vera e propria specializzazione ponendo rimedio al problema dell’imbuto formativo. «Ma evitiamo di traslare alcune competenze mediche agli infermieri, è una cosa che non ci trova d’accordo. Il problema sono le poche borse di studio a disposizione», conclude Onotri.

Crisarà (FIMMG): «Aumentare la remunerazione in base all’organizzazione»

Chi è sul piede di guerra ormai da tempo è la FIMMG, le cui idee divergono radicalmente da quelle contenute nel Recovery Plan. «Siamo molto critici su come è stato impostato il tema 6 del Recovery Plan – confessa Domenico Crisarà, vicesegretario nazionale FIMMG -. Le Case di Comunità non sono il modello che secondo noi serve per rilanciare l’assistenza domiciliare. Il futuro significa non la concentrazione dell’erogazione dei servizi, ma la prossimità dei servizi al cittadino utilizzando i professionisti e le tecnologie. Tutto quello che tecnologicamente può avvicinare il sistema al cittadino».

Crisarà poi contesta l’ipotesi di un “ufficio unico del malato” che potrebbe trovare la sua sede nelle Case di Comunità. «Non può funzionare per il semplice motivo che l’Italia non è una immensa pianura con grandi vie di comunicazione. Buona parte della popolazione più fragile abita in situazioni disperse o paradossalmente in situazioni molto concentrate. Le Case della Salute avrebbero come bacino di riferimento una popolazione di 15-20mila abitanti. In realtà come la Basilicata avremmo una Casa della Salute ogni 400 km quadrati».

No alla dipendenza secondo FIMMG

Bocciata anche l’ipotesi della dipendenza: per FIMMG il medico di famiglia deve restare libero professionista. «Quello che deve cambiare – spiega Crisarà – è l’impostazione del contratto. Nella prima audizione in Commissione Affari Sociali sul Recovery Plan abbiamo presentato una memoria che doveva cambiare il sistema di remunerazione: limitare il concetto della quota capitaria e aumentare la remunerazione in base all’organizzazione che si dà il medico e ai risultati di salute di quell’organizzazione».

Crisarà rilancia poi la soluzione del “microteam” che da anni FIMMG porta avanti e chiede che i cittadini possano continuare a scegliere i propri medici: «Nell’ospedale il cittadino è un utente. La medicina generale al contrario è impostata sul rapporto fiduciario: la carriera e la remunerazione di un MMG dipendono dal gradimento dei suoi pazienti».

 

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