«La formazione professionale deve essere continua, i progressi in medicina sono quotidiani e bisogna essere sempre informati. Io, alla mia età, ancora oggi mi aggiorno, è un dovere soprattutto per noi chirurghi» così il Professor Petrella, che dal Congresso SIC ha lanciato i risultati di una ricerca dell’Università Tor Vergata: «Il 60% degli specializzandi vuole lavorare all’estero e l’80% è preoccupato per i contenziosi. Occorre un piano “su misura” per dare risposte ai giovani professionisti e suturare questa emorragia»
«La ricerca, l‘aggiornamento professionale e la formazione continua in medicina sono tematiche importanti. I progressi in medicina sono quotidiani e bisogna essere sempre informati. Io alla mia età, ancora oggi mi aggiorno – ha spiegato il Professor Giuseppe Petrella, direttore della Scuola e vice presidente della Società Italiana di Chirurgia, a margine del 121° Congresso Nazionale SIC – sono in regola con gli ECM, è un dovere per noi medici e, soprattutto, per noi chirurghi».
Sempre il Professor Petrella, dal Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia, ha lanciato i sorprendenti risultati di un questionario sottoposto in forma anonima ai futuri chirurghi che frequentano la specializzazione dell’ateneo romano per l’anno 2018-2019.
Dalla ricerca, è emerso che il 60% dei medici iscritti alla Scuola di Specializzazione in Chirurgia dell’Università di Tor Vergata a Roma ha come prospettiva futura quella di trovare un posto di lavoro all’estero, il 30% dice che molto dipenderà dall’offerta economica e dalle prospettive di carriera che arriveranno alla fine del percorso specialistico mentre solo il 10% si dice sicuro di rimanere in Italia.
I dati, sono stati analizzati nel corso del 121° Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia presieduto da Paolo De Paolis che ha radunato a Bologna migliaia di chirurghi provenienti da tutta Italia. A domanda specifica “Facendo una fotografia dell’attuale contesto lavorativo, specializzandosi oggi, sceglierebbe di lavorare in Italia o all’estero?” gli specializzandi hanno risposto a larghissima maggioranza che opteranno per una soluzione lontano dall’Italia mentre una piccola parte sembra aver già deciso di giocarsi le proprie carte nel nostro Paese.
Nel questionario si chiedeva anche se le implicazioni medico-legali creassero condizionamenti e se il corrispettivo economico della borsa per la specializzazione sia da ritenersi consono. Nel primo caso la risposta è stata positiva e contemporaneamente preoccupante, con l’80% degli specializzandi che si sono detti preoccupati per il numero crescente dei contenziosi e delle ripercussioni sul contesto lavorativo, mentre per quanto riguarda la seconda domanda i giovani chirurghi hanno ammesso per la quasi totalità di non essere soddisfatti del trattamento economico.
Gli specializzandi ritengono poi l’eccessiva burocrazia il maggior ostacolo da superare durante la vita quotidiana in corsia, seguita dalla mancanza di medesime possibilità cliniche. «Per formare gli specializzandi lo Stato italiano spende di media 300mila euro ciascuno – ha specificato il Presidente della Società Italiana di chirurgia Paolo De Paolis – i nostri giovani hanno grandi capacità e una preparazione qualificata di altissimo livello. In questo Paese però non li mettiamo nelle condizioni di poter esprimere il proprio talento. È un paradosso che deve essere risolto velocemente con un’azione politica decisa e chiara».
Per il professor Giuseppe Petrella «il questionario, che non ha ovviamente un fine statistico, è stato fatto per misurare la pressione dei nostri specializzandi e il dato che emerge da queste semplici domande è allarmante. I valori sono completamente sbilanciati. Se pensiamo che da qui al 2025 nel nostro Paese mancheranno 1300 chirurghi è chiaro che bisogna intervenire con rapidità e con soluzioni omogenee, occorre un piano “su misura” per dare risposte ai giovani professionisti e suturare questa emorragia».