Latorre (chirurgo plastico): «Durante la prima guerra mondiale le parti mancanti dei volti deturpati venivano riprodotte con delle maschere sottilissime di rame»
Che gli antichi egizi fossero particolarmente attenti all’estetica lo testimoniano i cofanetti decorati che custodivano profumi, unguenti, pettini, fermagli per i capelli, bastoncini per il trucco e specchi, ritrovati soprattutto nelle tombe. Ma un papiro, risalente a 3 millenni prima di Cristo, testimonia molto di più: gli egiziani per migliorare il proprio aspetto si cimentavano anche in pratiche chirurgiche.
LEGGI ANCHE: CHIRURGIA ESTETICA, LA DENUNCIA DI SICPRE: «BASTA ABUSIVISMO CATEGORIA, DANNI AL 30% DEI PAZIENTI»
«Per raccontare la storia della chirurgia plastica e ricostruttiva – spiega Stefano Latorre, specialista dell’Unità di Chirurgia Plastica e Maxillo-Facciale dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma – dobbiamo tornare molto indietro nei secoli, fino alla civiltà egizia: la prima – almeno stando alle testimonianze pervenute fino ai giorni nostri – ad aver praticato i più antichi e rudimentali interventi».
Nel corso dei secoli, altri popoli si sono dedicati a queste tecniche, ma è soltanto nei primi anni del 1900 che la chirurgia plastica e ricostruttiva ha cominciato ad assumere le sembianze della branca medica che noi oggi conosciamo. «Durante la prima guerra mondiale e nell’immediato periodo post bellico – continua Latorre – è stata soprattutto la parte ricostruttiva della chirurgia plastica a subire un’enorme spinta. Aiutare tutte quelle persone sopravvissute al conflitto, mutilate e deturpate, era divento un problema di natura sociale, oltre che medico».
Il numero di pazienti di cui prendersi cura era elevatissimo, una quantità di feriti senza precedenti che non lasciava altra scelta che quella di sperimentare nuove tecniche per migliorare ed ottimizzare i risultati. «Durante la guerra – continua l’esperto dell’Unità di Chirurgia Plastica e Maxillo-Facciale del Bambino Gesù – fu una fiorente attività di scultura a supportare il lavoro dei chirurghi plastici. Le parti mancanti dei volti deturpati venivano riprodotte con delle maschere sottilissime di rame. È in questo periodo, infatti – sottolinea Latorre – che nascono le tecniche di base della chirurgia plastica e ricostruttiva».
LEGGI ANCHE: CHIRURGIA, TROPPI ONERI E POCHI ONORI: È “CRISI DI VOCAZIONE” TRA BOOM DI DENUNCE E RISCHIO AGGRESSIONI
Da quegli anni è trascorso un altro secolo di storia, cento anni di sperimentazioni e innovazioni che hanno sostituito il lavoro manuale e certosino degli scultori con tecnologie di ultima generazione: «I lembi e gli innesti sono le tecniche di base che ogni chirurgo plastico deve avere nel suo armamentario chirurgico. Ma attualmente – spiega lo specialista – queste metodologie hanno subito una grossa evoluzione: prima i lembi microchirurgici, poi la chirurgia mininvasiva, fino all’attuale sviluppo della medicina traslazionale. Il prossimo passo è l’utilizzo delle stampanti 3d in grado di riprodurre organi e tessuti da trasferire al paziente. Anche questa – conclude Latorre – è un’evoluzione di ciò che avevano già sperimentato i medici durate la prima guerra mondiale con le maschere di rame».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO