Il vicepresidente dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani Vincenzo Bottino: «Nonostante l’aumento delle borse di specializzazione permangono lacune nella formazione»
Sempre meno medici scelgono di diventare chirurghi. Le scuole di Specializzazione in Chirurgia sono le meno ambite e sempre più numerosi sono i concorsi disertati o annullati per mancanza di candidati. Un problema che si traduce in una ormai cronica carenza di personale, e che ha generato un circolo vizioso da cui sembra difficile uscire: i pochi chirurghi all’opera sono costretti a turni massacranti, a difendersi da continue denunce, ad accollarsi responsabilità che spesso rischiano di esporli ad aggressioni, fenomeno ingravescente soprattutto al Sud Italia. Uno scenario che certo non favorisce un ritorno di vocazione. Sanità Informazione ne ha parlato con il Vicepresidente nazionale ACOI, l’Associazione Chirurghi Ospedalieri, Vincenzo Bottino, Direttore U.O.C. Chirurgia Generale presso l’Ospedale Evangelico “Villa Betania” di Napoli.
Dottore, quali sono le cause di questa fuga dalle specializzazioni in ambito chirurgico?
«Il problema della carenza di vocazioni chirurgiche affligge tutta Italia da alcuni anni. Al nord non vengono svolti concorsi per mancanza di partecipanti e si reclutano specialisti provenienti da altri Paesi. In Campania si stanno invece svolgendo concorsi sia per posizioni apicali sia per dirigenti di primo livello, il problema è che comunque i reparti di chirurgia hanno un organico ridotto cui si cerca di sopperire mediante ore di straordinario e lavoro in convenzione, spesso eludendo la legge europea sull’orario di lavoro. Oggi sempre meno medici scelgono di specializzarsi in Chirurgia, per vari motivi tra cui la scarsa voglia di rischiare continuamente contenziosi medico legali, sempre più presenti nella nostra professione, ma anche perchè oggi il lavoro del chirurgo è diventato, per quanto appassionante, anche usurante, perchè ci si trova a dover prendere decisioni e ad accollarsi responsabilità molto pesanti. Altro fattore: il percorso formativo previsto non è in linea con quello degli altri Paesi europei, penso ad esempio al modello francese, tedesco o inglese, dove il medico che decide di specializzarsi in Chirurgia compie un percorso formativo lineare che prevede una serie di step, una serie di interventi certificati, il cui conseguimento è conditio sine qua non per ottenere la specializzazione. Noi vediamo che nei nostri reparti i giovani chirurghi hanno spesso delle lacune che sta poi a noi andare a colmare. Un altro motivo è quello della remunerazione: lo stipendio di un chirurgo è uguale a quello di un dermatologo e, senza nulla togliere alla categoria dei dermatologi, si capisce che si tratta di oneri e responsabilità diversi. Va detto che qualcosa è stato fatto, sono state aumentate le borse di specializzazione, ma questo non basta a colmare la forbice tra i medici laureati e gli specialisti. Altra considerazione relativa alle scuole di specializzazione è il fatto che le graduatorie spesso consentono l’accesso ad un’altra specializzazione rispetto a quella prescelta, e se l’anno successivo si riesce invece ad accedere alla specializzazione desiderata, di fatto la precedente borsa di studio sarà andata persa».
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Lei citava il problema dei contenziosi medico legali. Qual è la vostra percezione del fenomeno?
«Siamo stanchi di vivere con l’angoscia che ci venga recapitata una richiesta di risarcimento o un avviso di garanzia per le cose più disparate. Oggi siamo al paradosso, con attività di volantinaggio all’uscita dei Pronto Soccorso per pubblicizzare la possibilità di agire legalmente contro i medici. Questo porta a vivere male il nostro lavoro, a praticare la medicina difensiva. Analizzando i dati dei contenziosi in essere, nonostante l’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, che puntava ad una riduzione del contenzioso medico legale, nell’ultimo anno questi contenziosi sono invece aumentati. Non dico che il chirurgo debba essere depenalizzato – perchè davanti alla giustizia siamo tutti uguali – ma certo è necessario fare qualcosa per sfoltire questi contenziosi».
Un altro peso che grava sul personale sanitario è il rischio di aggressioni. Come vivono i chirurghi tutto questo?
«I recenti episodi hanno sensibilizzato sicuramente gli Ordini dei medici e la politica per far fronte a questo problema ma anche per intercettare il malessere dei cittadini. È vero infatti che al Sud le aggressioni sono sempre di più ma questo è indice di un problema civico che grava sui cittadini, i quali vedono i reparti di degenza e i Pronto Soccorso come l’ultimo baluardo di una rete assistenziale che sta vivendo un periodo molto critico. I reparti di chirurgia e i Pronto Soccorso sono un bersaglio facile su cui sfogare il malessere che vivono i congiunti dei pazienti quando purtroppo le cose non si risolvono per il meglio. L’OMCeO di Napoli è stato a questo proposito molto sensibile nel promuovere una serie di iniziative volte a recuperare la fiducia dei cittadini e per sancire ancora una volta l’essenziale alleanza tra medico e paziente».