È successo ad Aosta. La procura ha ottenuto l’emissione di un decreto penale di condanna nei confronti del chirurgo, del direttore della US e del responsabile del 118: «Onorato il giuramento di Ippocrate»
«Sono stati adottati tutti i presidi e le cautele necessarie per evitare eventuali contagi alla paziente e al personale sanitario coinvolto, risultati tutti negativi al Covid-19. Sotto il profilo etico, inoltre, non ci si può che inchinare dinanzi a chi ha sacrificato i propri interessi personali per salvare una vita umana, onorando nel modo più nobile il giuramento di Ippocrate».
Così l’avvocato Anna Rodinò Toscano, referente penale per Consulcesi & Partners, sulla vicenda del chirurgo di Aosta che, nonostante fosse in quarantena per positività al Covid-19, operò una paziente in pericolo di vita, ha destato grande clamore. La Procura di Aosta ha chiesto e ottenuto dal GIP l’emissione di un decreto penale di condanna nei confronti del chirurgo, del direttore della US che lo autorizzò ad effettuare l’intervento chirurgico e del responsabile del 118 che consentì il trasporto del medico con ambulanza. Per tutti e tre l’accusa è di violazione della normativa sulla quarantena, in particolare l’ordinanza di isolamento domiciliare prescritta a causa della positività (anche se debole) al Covid-19 del chirurgo. I tre imputati si sono opposti al decreto penale di condanna scegliendo, quindi, di sottoporsi al processo.
«Tale scelta processuale – spiega l’avvocato Rodinò Toscano – è dettata dal legittimo convincimento degli imputati di non aver commesso alcun reato, avendo essi agito in particolari circostanze storico fattuali. Si sarebbero trovati a far fronte ad un’emergenza data dalle condizioni di una paziente, affetta da un aneurisma dell’arteria splenica che doveva essere immediatamente operata e non poteva esser trasferita, per le particolari condizioni cliniche, in un altro ospedale».
Il chirurgo vascolare sarebbe stato l’unico in grado di effettuare un intervento così invasivo e delicato. Da qui la scelta di farlo trasportare in ambulanza presso il nosocomio e di utilizzare la sala operatoria appositamente realizzata per le malattie infettive, per consentirgli di operare in sicurezza.
Il direttore della Usl, dopo averlo comunicato alle autorità competenti, ha autorizzato il chirurgo ad allontanarsi dall’isolamento domiciliare per il tempo necessario per eseguire l’intervento. La paziente che rischiava la rottura di un aneurisma e, dunque, era in grave pericolo di vita, grazie al salvifico intervento chirurgico, ora sta bene.
«La vicenda fornisce degli spunti di riflessione sotto il profilo giuridico ed etico – spiega l’avvocato Rodinò Toscano –. Innanzitutto, appare singolare come, non solo il PM ma anche il GIP, abbiano ritenuto il medico e gli altri due soggetti penalmente responsabili e, dunque, meritevoli di un trattamento sanzionatorio (pena pecuniaria pari a 5mila euro) nonostante la loro condotta fosse agevolmente inquadrabile nell’alveo applicativo della scriminante dello stato di necessità, disciplinata dall’art. 54 del codice penale». La norma infatti prevede che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».
«Ebbene – conclude l’avvocato di Consulcesi & Partners –, appare evidente come la condotta del chirurgo sia stata dettata dalla necessità di sottoporre la paziente, in grave pericolo di vita, ad un intervento chirurgico urgente, dunque improcrastinabile, e di particolare complessità per il quale solo lui aveva le relative competenze».
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