Il nuovo pomo della discordia è l’unificazione dei fondi della dirigenza medica, sanitaria non medica e delle professioni sanitarie. Palermo (Anaao-Assomed): «A guadagnarci sono i medici». Quici (Cimo-Fesmed): «Le risorse saranno date dai medici in un rapporto 5 a 1». Vergallo: (Aaroi-Emac): «Paventiamo rischio concreto di appiattimento tra le professioni»
La questione del rinnovo del contratto della dirigenza medica e sanitaria si fa sempre più complessa. Ora, a dividere Aran e sindacati è l’unificazione dei fondi della dirigenza medica, sanitaria non medica e delle professioni sanitarie. Un’unione prevista da una Legge adottata dall’ex ministro Renato Brunetta, ma la cui attuazione è diventata il nuovo ostacolo da superare per arrivare, a contratto già scaduto e dopo 10 anni di attesa, alla firma del nuovo testo.
Secondo Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao-Assomed, i veri beneficiari dell’unificazione «non possono che essere i medici, perché il valore medio della loro posizione è inferiore a quello dei dirigenti sanitari non medici». Per spiegare perché, ci elenca alcuni esempi tratti dai dati Aran 2016 relativi agli stipendi lordi dei professionisti: «La media della parte relativa alla posizione dei dirigenti sanitari non medici risulta essere di 8333 euro pro capite, mentre quella dei medici è di 8007 euro; la media della parte relativa al risultato dei dirigenti sanitari non medici è di 5362 euro pro capite, mentre quella dei medici è di 3934 euro. Mi risulta difficile capire perché, con l’unificazione dei fondi e l’armonizzazione dei valori, il medico dovrebbe perderci».
«Quello che contestiamo, al di là di chi ci guadagna o di chi ci perde – risponde Alessandro Vergallo, presidente del sindacato degli anestesisti-rianimatori Aaroi-Emac – è l’interpretazione stessa dell’armonizzazione dei fondi di cui parla la Legge. Secondo noi, l’armonizzazione non equivaleva all’unico calderone che ci ha proposto l’Aran. Ricordiamo infatti che i medici rappresentano la grande maggioranza dei dirigenti di area sanitaria. Quello che non condividiamo e non riusciamo ad accettare, quindi, è l’assenza di un meccanismo di suddivisione percentualmente paritetico tra le varie categorie professionali. In questo modo, è l’intera organizzazione del lavoro dei medici a decadere; è un rischio concreto di appiattimento tra le professioni che temiamo».
Anche la Federazione CIMO-FESMED, che insieme all’Aaroi-Emac ha lasciato il tavolo delle trattative, esprime forti perplessità, elencate in una lettera indirizzata a Sanità Informazione, sull’andamento delle trattative, che «intendono livellare le competenze professionali e le retribuzioni dei medici nel sistema pubblico». In particolare, per quanto riguarda l’unificazione dei fondi, il presidente Guido Quici evidenzia che «gran parte delle risorse le daranno i medici in un rapporto almeno di 5 a 1, dunque tutti avranno risorse per le loro carriere attraverso risorse che provengono prevalentemente dai medici».
«Bisognerà sicuramente mettere dei paletti – specifica Palermo – ed evitare variabilità eccessive a livello periferico tali che, ad esempio, nessun medico abbia un valore di posizione globale inferiore a quello in essere con l’attuale contratto».
Anche Vergallo parla di meccanismi di garanzia che tutelino i medici, che l’Aaroi-Emac ha chiesto informalmente all’Aran: «Stiamo studiando una possibile soluzione che preveda una ripartizione per quota capitaria dei soldi che finiscono nel fondo. Si tratterebbe di un meccanismo per il quale ogni dirigente mette un’uguale quota capitaria e poi gli incarichi dirigenziali vengono pagati in ragione di quanto portato da ciascuna categoria. Un meccanismo che impedirebbe la riduzione dei primariati medici a fronte dell’aumento di quelli non medici, cui abbiamo assistito di frequente negli ultimi anni e continuiamo ad assistere. La nuova bozza Aran dovrebbe accogliere parte delle nostre proposte. Una volta letto il testo, valuteremo se e come proseguire la nostra attività».