Lavoro e Professioni 3 Aprile 2020 18:09

Coronavirus, Corti (Fimmg): «È stata trasformata un’emergenza territoriale in un’emergenza ospedaliera»

«È stato fatto pochissimo per potenziare le strutture del territorio, perché facessero argine e rallentassero la diffusione del contagio – spiega il Vicesegretario nazionale Fimmg – . Esiste un sommerso di persone decedute per Coronavirus che non emerge dai dati ufficiali»

Coronavirus, Corti (Fimmg): «È stata trasformata un’emergenza territoriale in un’emergenza ospedaliera»

Con ben 73 vittime, continua ad allungarsi la lista dei medici deceduti a causa dell’epidemia da Covid-19. Tra questi, ci sono molti medici di medicina generale, una categoria professionale lasciata sola a gestire i propri pazienti, senza protocolli specifici da seguire e soprattutto «costretti ad andare in trincea a mani nude», come dichiara il Vicesegretario nazionale della Fimmg (Federazione italiana medici di famiglia) Fiorenzo Corti nell’intervista a Sanità Informazione.

Vicesegretario Corti, i medici di medicina generale sono tra i più colpiti dal contagio. Quali sono le maggiori criticità che hanno riscontrato a livello nazionale?

«La maggiore, tra tutte, è dovuta al fatto che sono mancati i dispositivi di protezione individuali per cui la maggior parte delle visite domiciliari sono state sospese e quando sono state fatte si è corso il rischio di mettere a repentaglio le condizioni di salute del medico e trasformarlo in un diffusore della malattia. Per questo, lo slogan che abbiamo creato è stato: “Costretti ad andare in trincea a mani nude”. Le protezioni continuano ad arrivare a singhiozzo, noi come Fimmg stiamo cercando di distribuirle a livello nazionale ma alcuni ordini sono fermi alla dogana e non riusciamo a rifornire tutti i medici».

In relazione ai numeri, si è parlato tanto della fragilità delle statistiche ufficiali sui decessi da Coronavirus. Esiste un ‘sommerso’ di persone decedute che non emerge dai dati ufficiali?

«Queste cose sono assolutamente condivisibili, gli unici soggetti che sono in grado di dare i numeri reali dei decessi sono i sindaci attraverso le anagrafi comunali. Se si fa una sottrazione delle morti nel marzo 2020 rispetto alle morti del marzo 2019, si ottiene un numero che presumibilmente è molto vicino al numero delle morti da Covid-19. Il numero dei malati è stato fatto attraverso la somministrazione del tampone ma non è stato fatto su tutta la popolazione in generale, non conosciamo il numero degli asintomatici né dei sintomatici e le morti per Covid-19 sono state dichiarate solo tra i soggetti che avevano il tampone positivo. È assolutamente corretto dire che esiste un sommerso di persone decedute per Coronavirus che non emerge dai dati ufficiali».

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Una precisazione: mi conferma che i pazienti sintomatici che hanno chiamato il medico di medicina generale ma sono rimasti al proprio domicilio e non sono andati in ospedale non hanno fatto il tampone?

«No, non li hanno fatti. Probabilmente, questo è stato fatto in Veneto ma solo sugli operatori sanitari in quanto categoria a rischio. Su questo concordo perché potrebbero essere anche diffusori della malattia. Non mi risulta che siano stati fatti tamponi a domicilio ai soggetti sintomatici che non abbiano avuto un accesso in pronto soccorso o che non abbiano avuto un ricovero ospedaliero. E quindi, in caso di decesso, sono fuori dai dati ufficiali».

Ci sono situazioni critiche tra i pazienti che sono in terapia domiciliare?

«Sì, ci sono situazioni critiche soprattutto nelle zone rosse, in Lombardia e a Piacenza. Sono partite in alcune realtà le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca) che stanno facendo le visite domiciliari; la cosa importante in questo momento è mettere a disposizione dei pazienti malati un saturimetro – lo strumento che misura la percentuale di ossigeno nel sangue – in modo che i medici di famiglia siano in grado di valutare quali sono gli eventuali peggioramenti delle condizioni cliniche di questi pazienti. Anche questi non sono disponibili dappertutto, in alcune realtà addirittura ci sono stati medici che li hanno comprati e messi a disposizione per i pazienti. Le autorità che ho consultato mi hanno detto che le scorte di questi strumenti sono finite e ci sono ordini che ancora non sono stati ultimati. Di conseguenza, ci sono molti pazienti che non hanno a disposizione a casa il saturimetro. Quando le Usca fanno visite domiciliari hanno l’opportunità di misurare la pressione di ossigeno in questi pazienti ma non c’è la possibilità per il medico di famiglia attraverso il contatto telefonico di verificare le condizioni del paziente. O meglio, può raccogliere i sintomi tipici – dispnea, febbre, tosse – ma la saturazione di ossigeno non è un dato che è ancora possibile avere per tuti i pazienti che sono a domicilio».

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È presto per parlare di responsabilità?

«Sì. Io penso che in questo momento la confusione è tanta, fra numerosi modelli di autocertificazione che cambiano in continuazione, i comportamenti diversi nelle varie realtà territoriali e anche all’interno delle stesse regioni. In questo momento, il rischio è quello di creare ulteriormente confusione mentre le valutazioni oggettive degli errori fatti e delle responsabilità degli amministratori si farà una volta che le acque si saranno calmate. Ho una certa preoccupazione, lo confesso, non tanto per il confronto-scontro tra soggetti appartenenti a forze politiche diverse – che è naturale – ma per quello tra gli scienziati che dovrebbero essere soggetti indipendenti».

Vi siete sentiti abbandonati?

«Il problema è questo: è stata trasformata un’emergenza territoriale in un’emergenza ospedaliera. Se l’ospedale è fuori la porta della stalla, nel momento in cui i buoi sono scappati, non si riesce più a gestirli. È stato fatto pochissimo per potenziare le strutture del territorio perché facessero argine e rallentassero la diffusione del contagio. Si dovrà riflettere sul fatto di privilegiare la struttura ospedaliera rispetto al territorio, ma è una riflessione che andrà fatta più avanti. Sicuramente, andrà rivista la struttura della sanità territoriale e soprattutto il ruolo della medicina generale, anche noi dovremo cambiare».

Si può dire che rispetto all’inizio dell’epidemia, la situazione è migliorata?

«Diciamo che si sta cercando di mettere una toppa a un buco importante, ma in futuro dovrà essere rivista tutta la gestione sanitaria territoriale».

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