Lavoro e Professioni 30 Aprile 2020 18:12

Coronavirus in corsia, come può tutelarsi legalmente il medico? Le risposte degli esperti

In quali casi si verifica una responsabilità della struttura se un medico che lavora in essa viene contagiato dal Covid-19? E cosa può fare per ottenere un risarcimento, nel caso in cui non siano state prese tutte le precauzioni del caso? Le risposte degli Avvocati Guido Molinari e Andrea Marziale, Partners dello Studio Legale e Tributario Quorum

Coronavirus in corsia, come può tutelarsi legalmente il medico? Le risposte degli esperti

In quali casi si verifica una responsabilità della struttura se un medico che lavora in essa viene contagiato dal Covid-19? E cosa può fare questi per ottenere un risarcimento, nel caso in cui non siano state prese tutte le precauzioni del caso? Le risposte degli Avvocati Guido Molinari e Andrea Marziale*, Partners dello Studio Legale e Tributario Quorum.

In generale si può dire che le strutture abbiano fornito tutto il necessario agli operatori sanitari per salvaguardare la loro salute e quella dei pazienti?

«Fin dal 22 gennaio 2020, il Ministero della Salute ha emesso una serie di Circolari con lo scopo di far fronte alla diffusione della pandemia Covid-19 nel territorio italiano. Le circolari n. 1997 e 2302 del 22 gennaio 2020 già contenevano indicazioni sulla gestione dei casi nelle strutture sanitarie, l’utilizzo dei Dpi per il personale sanitario e le precauzioni standard di biosicurezza da seguire. Nel Situation Report n. 12 del 1° febbraio 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha precisato ancora una volta come il meccanismo principale di trasmissione del Covid-19 fosse il contatto con i casi sintomatici. Dunque, fin da subito, è apparso evidente che sarebbe stato necessario implementare le misure di sicurezza per i medici che sarebbero stati in contatto con “casi sospetti”, onde evitare il loro contagio. In particolare, per le procedure di generazione di aerosol gli operatori sanitari avrebbero dovuto usare mascherine, occhiali di protezione, guanti e abiti. I grembiuli avrebbero dovuto essere usati qualora gli abiti non fossero stati resistenti ai fluidi».

Il Ministero è intervenuto ancora?

«Con la Circolare n. prot. 5443 del 22 febbraio 2020 del Ministero della Salute, Direzione generale della prevenzione sanitaria, Ufficio 5 Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale – dopo circa un mese dal primo caso di Covid-19 evidenziato in Italia – il Ministero ha fornito delle integrazioni che hanno aggiornato e sostituito quelle assunte nelle circolari del 22 e del 27 gennaio. In base a quanto previsto nella suddetta Circolare n. 5443, il personale sanitario in contatto con un caso sospetto o confermato di Covid-19 avrebbe dovuto “indossare Dpi adeguati, consistenti in filtranti respiratori FFP2 (utilizzare sempre FFP3 per le procedure che generano aerosol), protezione facciale, camice impermeabile a maniche lunghe, guanti”. È stata disposta, inoltre, la necessità di assicurare la formazione del personale sanitario sulle corrette metodologie per indossare e rimuovere i Dpi e sono state previste alcune procedure di vestizione/svestizione. Tali indicazioni sono state ribadite ed implementate dal Ministero della Salute nella Circolare n. 5889 del 25 febbraio 2020. Pertanto, già prima dell’esplosione dei contagi, avvenuta nei primi giorni del mese di marzo 2020, le strutture sanitarie avrebbero dovuto adottare le misure previste dal Ministero della Salute. Dovrà, dunque, essere analizzato caso per caso, compatibilmente con l’emergenza sanitaria che ha colpito duramente alcune strutture sanitarie, soprattutto nelle regioni Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Marche, se siano state effettivamente seguite le indicazioni del Ministero in termini di difesa della salute del personale sanitario e dei pazienti. Occorrerà, inoltre, analizzare tutti i casi in cui è stata richiesta la presenza sul lavoro agli operatori sanitari che hanno presentato chiari sintomi di contagio e non sono stati sottoposti neanche a tamponatura. Tale grave situazione ha esposto detti operatori ed i pazienti ad evidenti rischi per la propria salute».

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Nell’ipotesi di contagio da Covid-19 di un dipendente, in cosa può incorrere il datore di lavoro?

«In ipotesi di un dipendente contagiato durante lo svolgimento dell’attività il datore di lavoro può potenzialmente incorrere:

  1. nella responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c il quale prevede che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. In tal senso, in caso di contagio Covid-19 il datore di lavoro potrebbe dover risarcire il dipendente per non aver disposto tutti i controlli necessari per tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della prestazione;
  2. nella violazione dell’art. 55 Dlgs 81/2008 (TU Salute e Sicurezza) laddove non abbia disposto interventi ad hoc, né aggiornato il Documento di Valutazione dei Rischi;
  3. nella responsabilità penale per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.) aggravati dalla violazione delle norme antinfortunistiche proprio perché non sono state adottate le misure necessarie a prevenire il rischio di contagio dei lavoratori. In queste ipotesi deve, tuttavia, essere dimostrato che il contagio sia avvenuto: i) nell’ambiente di lavoro e durante lo svolgimento dell’attività lavorativa; ii) a causa della mancata adozione delle misure di prevenzione da parte del datore. In tal caso, la responsabilità di quest’ultimo è, quindi, diretta conseguenza della inosservanza delle disposizioni del D. Lgs. 81/08 ed, in particolare, dell’art. 18 (obblighi del datore di lavoro) che ne pone a carico determinati obblighi.
  4. Infine, in relazione al punto che precede, costituendo i reati di lesioni gravi/gravissime o omicidio colposo, reati presupposto della responsabilità amministrativa (recte, penale) degli enti ex  D. Lgs. 231/2001, potrebbe essere contestata alla Struttura Sanitaria anche la fattispecie di cui all’art. 25 septies D. Lgs. 231/2001 con conseguente applicazione di sanzioni sia di carattere pecuniario che interdittivo».

Come può muoversi il lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, e cosa è chiamata a fare, in quel caso, la struttura?

«In caso di contagio del personale medico/sanitario nel luogo di lavoro, si diceva, potrebbe configurarsi una responsabilità contrattuale del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c.; danno peraltro risarcibile anche dall’INAIL a titolo di infortunio sul lavoro. I medici e/o gli infermieri eventualmente contagiati potrebbero sostenere che il datore di lavoro sia inadempiente rispetto ai predetti obblighi per non aver adottato le misure “necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione” ovvero per non aver “esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti” (Cass. 5/1/2018, n. 146; Cass. 18/11/2019, n. 29879). In tal caso, come da consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito un danno alla salute l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento; mentre grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo. Se il datore di lavoro, poi, non avesse adottato alcun piano di intervento né aggiornato il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) rispetto al rischio di contagio specifico da Covid-19, la propria difesa sarebbe certamente complessa. Sotto un ulteriore profilo, i datori di lavoro che non abbiano adottato piani di intervento ad hoc né aggiornato il DVR, potrebbero ricadere, come già detto, nella fattispecie prevista dall’art. 55 del D. Lgs. 81/2008 e – nell’ipotesi in cui il contagio si sia diffuso nell’ambiente di lavoro con conseguenze gravi sotto il profilo sanitario per i lavoratori colpiti – potrebbe configurarsi anche una responsabilità di tipo penale, personale, dei legali rappresentanti della Struttura Sanitaria datrice di lavoro ai sensi degli articoli 589 e 590 del codice penale (lesioni personali colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fino alla possibilità dell’omicidio colposo in caso di decesso del lavoratore) con possibile estensione del reato, come ricordato, alla stessa Struttura Sanitaria (quale persona giuridica) ai sensi del citato art. 25 septies D. Lgs. 231/2001. Oltre al risarcimento INAIL, si potrà, poi, valutare anche la richiesta di risarcimento del danno ex art. 2043 Cod. Civ. nei confronti della Struttura Sanitaria e del Ministero della Salute, per fatto doloso o colposo del terzo – soggetta a termine di prescrizione quinquennale che decorre dal giorno in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita – qualora si dimostri che la mancanza dei DPI sia dipesa da dolo o colpa del suddetto Dicastero».

E in caso di morte per Covid-19?

«In caso di morte dell’operatore sanitario a seguito del contagio del Covid-19, spetterà agli eredi il risarcimento del danno tanatologico, tipico degli eventi lesivi mortali, che si verifica quando tra l’evento lesivo e la morte del danneggiato intercorre un periodo di tempo tale da comportare, per lo stesso soggetto, sofferenze e patema. I danni risarcibili agli eredi dell’operatore sanitario possono essere domandati “iure proprio” e “iure hereditatis”: la differenza sta nel fatto che nel primo caso viene risarcito il danno morale patito dagli eredi per la perdita del proprio congiunto, nel secondo caso il danno è quello subito dalla vittima e che, a seguito della morte, si trasferisce agli eredi. Quanto alla Struttura Sanitaria che si trovi a dover affrontare una richiesta di risarcimento danni da parte del proprio personale sanitario dipendente (sul quale ricordiamo grava l’onere della prova relativa al fatto costituente l’inadempimento e al nesso di causalità materiale tra l’inadempimento ed il danno) avrà l’onere di dover provare l’adozione di tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno».

E per quanto riguarda il lato assicurativo?

«Nel difficile contesto emergenziale da Covid-19, anche in relazione a quanto sin qui detto, appare necessario porre attenzione anche alle tutele assicurative aventi ad oggetto la responsabilità civile delle strutture sanitarie. A tale riguardo, sarebbe auspicabile che le compagnie assicurative garantissero, anche in deroga alle disposizioni specifiche del Codice civile, la piena efficacia delle coperture assicurative per le strutture, anche alla luce delle modifiche organizzative imposte dalla gestione dell’emergenza pandemica. Diversamente si raggiungerebbe il poco auspicabile risultato di escludere dalle coperture assicurative tutte le condotte professionali svolte durante questa crisi, penalizzando così anche gli stessi soggetti eventualmente destinatari dell’indennizzo assicurativo.

Le Strutture Sanitarie dovranno pertanto:

  • verificare, e nel caso adeguare, le proprie polizze assicurative affinché esse prevedano la copertura anche di eventuali danni determinati dalla gestione dell’attuale emergenza da Covid-19;
  • sollecitare le compagnie che operano nel campo delle Polizze RC del settore sanitario, affinché anche esse prevedano adeguate coperture in caso di richieste di risarcimento per il Covid-19, se del caso mediante l’emissione di apposite appendici di polizza anche a fronte di garanzie assicurative già accese».

 

* Le considerazioni degli Avvocati Molinari e Marziale sono rese a titolo del tutto personale e – come tali – non riflettono le opinioni dello Studio Legale e Tributario Quorum, dei suoi Soci e/o dei propri componenti in genere.

 

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