Il report mensile elaborato dall’Inail rileva, al 31 dicembre, un aumento di quasi 27mila casi rispetto alla fine di novembre (+25,7%). Un quarto dei decessi nel settore della sanità e assistenza sociale
I contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’Inail al 31 dicembre scorso sono 131.090, pari al 23,7% delle denunce di infortunio pervenute all’Istituto nel 2020 e al 6,2% dei contagiati nazionali totali comunicati dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss).
È ciò che emerge dal 12esimo report nazionale sulle infezioni di origine professionale da coronavirus realizzato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail, con un incremento di 26.762 casi (+25,7%) rispetto al monitoraggio precedente al 30 novembre, di cui 16.991 riferiti a dicembre, 7.901 a novembre e altri 1.599 a ottobre, complice la seconda ondata dell’epidemia che ha avuto un impatto più intenso della prima anche in ambito lavorativo.
Va a novembre il record negativo del 2020 con quasi 36mila infezioni segnalate all’Istituto; nei mesi estivi, al contrario, si era registrato un ridimensionamento del fenomeno – giugno, luglio e agosto al di sotto dei mille casi mensili – con una leggera risalita a settembre che lasciava prevedere la ripresa dei contagi dei mesi successivi. I casi mortali di Covid-19 in ambito professionale denunciati all’Inail al 31 dicembre scorso sono 423: 57 in più rispetto al mese precedente, in maggioranza uomini (83,2%) e con un’età tra i 50 e 64 anni (70,2%).
«A differenza del complesso delle denunce – rende noto l’Inail – per i casi mortali è la prima ondata dei contagi ad avere avuto un impatto più significativo della seconda. Quasi otto decessi su dieci (79,0%), infatti, sono avvenuti nel trimestre marzo-maggio contro il 18,0% del trimestre ottobre-dicembre. Riguardano soprattutto gli uomini (83,2% del totale) e le fasce di età 50-64 anni (70,2%) e over 64 anni (19,9%). Il 69,6% dei contagiati – continua l’Inail – sono donne, la cui quota nel mese di dicembre sale al 71,6%. L’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per entrambi i sessi. Il 42,2% delle infezioni di origine professionale denunciate riguarda la classe 50-64 anni: seguono le fasce 35-49 anni (37,0%), under 34 anni (19,0%) e over 64 anni (1,8%). L’85,7% dei contagi riguarda lavoratori italiani».
Il settore della sanità e assistenza sociale – ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili – con il 68,8% delle denunce e un quarto (25,2%) dei decessi codificati precede l’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl – e amministratori regionali, provinciali e comunali), in cui ricadono il 9,1% delle infezioni denunciate e il 10,7% dei decessi.
L’analisi per professione dell’infortunato indica la categoria dei tecnici della salute come la più coinvolta con il 38,7% delle denunce, l’82,2% delle quali relative a infermieri e il 10,0% dei casi mortali codificati. Seguono gli operatori sociosanitari con il 19,2% delle denunce (l’80,9% sono donne), i medici con il 9,2% (il 48,0% sono donne), gli operatori socioassistenziali con il 7,4% (l’85,1% donne) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (tre su quattro sono donne).
Il report evidenzia che la sanità nel suo complesso è il settore messo in ginocchio dalla pandemia: «Un fatto gravissimo – sottolinea Giuseppe Carbone, segretario generale nazionale della Fials – che mostra l’impreparazione di ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili. Strutture che avrebbero dovuto essere stati messi in sicurezza. Chi si è speso di più, si è esposto di più – precisa – e chi si è esposto di più si è contagiato di più, le nostre infermiere, le nostre professioniste e le operatrici sanitarie».
La Fials chiede che «gli ospedali vengano dotati di percorsi pulito/sporco, zone filtro e sistemi di ventilazione a pressione negativa» e sia considerato «l’adeguato fabbisogno di personale, vista la persistente scarsità delle risorse umane, su cui è fondamentale implementare il monitoraggio continuo con l’effettuazione del test di screening».
L’analisi territoriale conferma che le denunce ricadono soprattutto nel Nord del Paese: il 47,5% nel Nord-Ovest (prima la Lombardia con il 28,4%), il 23,0% nel Nord-Est (Veneto 9,7%), il 13,8% al Centro (Lazio 5,6%), l’11,5% al Sud (Campania 5,4%) e il 4,2% nelle Isole (Sicilia 2,7%). Le province con il maggior numero di contagi da inizio pandemia sono Milano (11,1%), Torino (7,5%), Roma (4,5%), Napoli (3,8%), Brescia e Varese (2,8%), Genova e Verona (2,6%), Bergamo, Cuneo e Monza e Brianza (2,1%). Sono però le province meridionali di Vibo Valentia, Oristano e Sud Sardegna a registrare i maggiori incrementi percentuali rispetto alla rilevazione di novembre.
Limitando l’analisi ai soli casi mortali, la percentuale del Nord-Ovest sale al 51,3% (prima la Lombardia con il 37,6%), mentre il Sud con il 18,9% dei decessi (Campania 9,5%) precede il Centro (13,9%), il Nord-Est (12,1%) e le Isole (3,8%). Le province che contano più decessi dall’inizio della pandemia sono quelle di Bergamo (10,4%), Milano (9,2%), Napoli (6,6%), Brescia (6,1%), Roma (5,4%), Cremona (4,3%), Torino e Genova (entrambe 3,5%).
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