Il Presidente del sindacato degli anestesisti rianimatori: «I fondi europei non siano persi in rivoli non produttivi. Come la medicina di famiglia»
Sono 207, al momento, i pazienti affetti da Covid-19 ricoverati in terapia intensiva in Italia. Numeri ben più bassi di marzo e aprile, ma in lieve e costante aumento. Secondo l’analisi indipendente condotta ogni settimana dalla Fondazione GIMBE, dal 9 al 15 settembre i ricoveri in terapia intensiva sono aumentati del 41%. E le condizioni di questi pazienti sono le stesse di coloro che venivano ricoverati in terapia intensiva nei mesi in cui l’Italia ha raggiunto il picco epidemico. I criteri di accesso non sono cambiati: il supporto ventilatorio era ed è indispensabile. Si tratta, com’è ovvio, di pazienti in stato critico. Una differenza però c’è: il tempo medio di degenza in questi reparti è inferiore.
A raccontarci cosa sta avvenendo nelle terapie intensive di tutta Italia è Alessandro Vergallo, Presidente del sindacato degli anestesisti-rianimatori Aaroi-Emac.
«Ora siamo in grado di capire meglio se le cure funzionano o no, sappiamo quali strategie terapeutiche mettere in atto. Si tratta da una parte di terapie di supporto e dall’altro di contrasto ai meccanismi patogenetici del virus. Fermo restando – puntualizza Vergallo – che ancora non abbiamo un farmaco specifico contro questo virus».
L’esperienza di questi mesi, quindi, ha insegnato qualcosa. «Ma a marzo-aprile noi non abbiamo sbagliato nulla. Intanto le prime analisi delle ospedalizzazioni dei pazienti contagiati sconfesserebbero che il ricovero sia stato un errore rispetto alla cura sul territorio. E poi è difficile pensare che si potesse far meglio: ci è caduta addosso una valanga».
Ma, secondo Vergallo, la situazione attuale non è da allarme rosso: «L’aumento del numero dei posti letto, compresi quelli in terapia intensiva, ci tranquillizza. Non posso dire di essere ottimista: dobbiamo restare vigili e osservare l’andamento della situazione. Le misure di contenimento sociale hanno contribuito a ridurre fortemente il rischio, e infatti la situazione attuale non ha nulla della drammaticità dei primi mesi, ma sappiamo che via via devono riprendere tutte le attività che sono state rallentate dalla pandemia».
Tra le attività che hanno subito uno stop a causa dell’emergenza, anche gli eventi formativi in modalità residenziale. Da qui, l’aumento della fruizione dei corsi online (FAD). Secondo quanto riportato da Consulcesi, leader nel settore della formazione a distanza, tra i professionisti che in questi mesi si sono aggiornati di più sul Covid-19 spiccano proprio gli anestesisti: «Anche io ho dovuto seguire dei corsi FAD per avere delle informazioni corrette e certificate. In questi mesi la formazione a distanza ha aiutato moltissimo tutto il personale sanitario».
Personale sanitario che ora assiste con attenzione al dibattito sulla destinazione delle risorse che nei prossimi mesi arriveranno dall’Europa e che saranno destinati anche alla sanità: «Le linee guida presentate dal presidente del Consiglio richiedono senz’altro un’analisi più approfondita di quella che al momento ho avuto modo di fare – commenta Vergallo -. Speriamo che i fondi siano destinati ad attività che possano garantire una maggiore sicurezza per i pazienti critici senza prendere rivoli che in passato si sono rivelati non produttivi. E mi riferisco in particolare alla medicina di famiglia, che poi alla fine non ha fatto quello che era in programma».
Per Vergallo, la priorità è «dare un impulso ad una vera programmazione dei fabbisogni del personale. In attesa dei frutti dell’aumento dei posti per alcune specialità – continua – bisogna riformare gradualmente il sistema della formazione specialistica per poter considerare colleghi anche gli specializzandi agli ultimi anni di corso», conclude.
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