«Le aggressioni scoraggiano i giovani medici, che non vogliono più fare i chirurghi. Ma in fondo perché dovrebbero volerlo?». L’intervista al presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri Pierluigi Marini
Riformare il sistema di formazione post-laurea, cambiare il profilo giuridico degli specializzandi che negli ultimi due anni lavorano in ospedale e rendere nuovamente attrattive alcune specialità da cui i giovani scappano. Per Pierluigi Marini, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri (Acoi), sono queste le priorità che il prossimo ministro della Salute dovrà affrontare. Ma è l’ultimo punto quello maggiormente evidenziato da Marini a Sanità Informazione, chiedendosi «perché oggi un giovane medico dovrebbe voler fare il chirurgo?». Il pensiero non va solo al lungo percorso formativo necessario per entrare in sala operatoria, ma anche «al rischio di contenzioso medico-legale e alle aggressioni subite da medici e professionisti sanitari, la dolorosissima novità che ormai rappresenta la quotidianità».
Proprio pochi giorni fa a Napoli è stata aggredita una dottoressa specialista in chirurgia…
«Se continua così serviranno le forze dell’ordine nei Pronto soccorso e nei reparti. La situazione ormai è insopportabile. È necessario rendere i nostri ospedali luoghi sicuri di cura e riportare sulla giusta strada il rapporto tra specialisti e pazienti. Altrimenti non avremo più specialisti, e a mancare saranno soprattutto i chirurghi».
Le aggressioni sono un altro elemento che scoraggia i giovani a intraprendere la carriera del chirurgo.
«Io l’ho detto in tutte le maniere. Le aggressioni si vanno ad aggiungere ad altri grossi problemi come la formazione, che deve essere rifondata. Ma serve anche un intervento strutturale sulla sanità pubblica».
Il Governo è appena caduto. Quello che ha fatto il ministro Grillo è stato sufficiente o bisogna fare di più?
«Ho avuto modo di parlare con il Ministro e di confrontarmi con il suo staff sulle principali problematiche, ma non ho visto risposte. Avevo presentato un progetto sulla formazione post-laurea, abbiamo parlato della carenza di specialisti, di come rendere attrattive le professioni non più scelte dai giovani, di come affrontare il problema della migrazione all’estero ma, ahimè, risposte non ci sono state. Poi è chiaro che l’interruzione dell’attività di governo ha reso tutto questo impossibile. La realtà è che la sanità pubblica in Italia sta attraversando un periodo di grandissima difficoltà, eppure non sento parlare di questi problemi. Lo dissi anni fa, che avremmo dovuto importare specialisti dall’estero; ecco, oggi sta succedendo».
Cosa pensa della possibilità di far lavorare in ospedale gli specializzandi per far fronte alla carenza di specialisti?
«Penso che il problema della carenza non si risolve sostituendo i professionisti che se ne vanno con gli specializzandi, che devono essere formati bene e inseriti nel mondo del lavoro dopo aver completato la giusta formazione. Un chirurgo deve concludere il proprio iter formativo per essere autonomo. E lo stesso vale per altri specialisti come anestesisti, ortopedici, ecc. Tra l’altro sappiamo che anche coloro che concludono il programma formativo non sempre vantano tutte le skill giuste e necessarie. E sono i giovani stessi a dirlo, quando non scelgono alcune specializzazioni perché non sono soddisfatti del sistema formativi. Quindi non credo che affrontare il problema della fuga e della mancanza di specialisti affidando responsabilità agli specializzandi sia la ricetta giusta».
Men che meno ai neolaureati, allora, come si vuol fare in Veneto…
«Io mi chiedo se questo sia un bene per la sanità pubblica, per i pazienti e anche per i giovani medici: curare una persona è una cosa molto seria».
Da cosa dovrebbe iniziare secondo lei l’azione di governo del prossimo ministro della Salute?
«Rendere attrattive alcune specialità da cui oggi i giovani scappano; riformare il sistema di formazione post-laurea; cambiare il profilo giuridico degli specializzandi che negli ultimi due anni di formazione vengono inseriti negli ospedali, perché di fatto, oggi, senza la presenza del tutor non possono fare niente; e poi dare forza alla sanità pubblica, soprattutto in alcune Regioni, dove gli standard non sono sempre rispettati. E dove questo avviene si crea quel fenomeno eticamente ed economicamente brutto del turismo sanitario, di cui tutti parlano ma su cui non ci sono interventi significativi. Non vedo interventi strutturali a sostegno della sanità pubblica che soffre. Poi, se oggi uno specialista impegnato in un Pronto soccorso non può più dire ai parenti di accomodarsi fuori, vuol dire che siamo nella giungla».