Si temono tempi lunghi per l’accesso alle cure e il rischio di contenziosi tra pazienti e Ssn
Appare ancora lungo e irto di ostacoli il cammino del decreto in materia di cure transfrontaliere. La direttiva europea 24/2011, cui l’Italia ha dovuto adeguarsi, prevede che ogni cittadino dell’Unione possa avvalersi di prestazioni sanitarie alle stesse condizioni tariffarie in qualsiasi Stato membro.
Come un cittadino comunitario possa concretamente usufruire dei servizi sanitari di un altro Paese è invece materia lasciata alla regolamentazione interna dello Stato. Un modello di assistenza leggermente sofferto dai Paesi membri più avanzati, dal momento che gli indici di guarigione delle strutture dell’ Europa dell’Est, soprattutto in ambito oncologico, risultano inferiori alla metà di quelli registrati nel resto del continente.
Veniamo all’Italia: il nostro Paese fissa il rimborso dei costi dell’assistenza fruita all’estero in misura pari alle tariffe regionali vigenti, al netto del ticket. Ma pone anche numerosi vincoli: in primis, le prestazioni all’estero sono fruibili solo a condizione che in Italia non ci siano cure specifiche per la patologia in questione o in caso di eccessiva lunghezza della lista d’attesa. In secondo luogo, le Regioni sono autorizzate a porre ulteriori limitazioni all’applicazione della normativa. Infine, pesa la presenza di vincoli autorizzativi, con la doppia domanda da fare alla Asl e un’attesa media di circa 40 giorni. Tutto ciò comporta, inevitabilmente, un allungamento eccessivo dell’iter con il rischio che si aprano contenziosi tra i pazienti italiani in attesa di cure e il servizio sanitario pubblico.
E’ questo il timore espresso da Oreste Rossi, membro della commissione Sanità presso l’Europarlamento, il quale dichiara: “Il decreto non individua i centri di eccellenza e il dettaglio delle norme sul centro nazionale di riferimento è lacunoso: non è escluso che, a causa di ciò, i tempi di accesso alle cure si dilatino ulteriormente. Se il regolamento passasse con gli attuali vincoli – avverte Rossi – le associazioni di pazienti sarebbero pronte a ricorrere ai tribunali amministrativi. Ma le consultazioni su questa normativa non sono aperte; ci troviamo quindi in un momento di transizione. Tuttavia, nonostante queste criticità – conclude Rossi – la direttiva si preannuncia foriera di produttività e posti di lavoro”.