Lavoro e Professioni 8 Maggio 2020 13:00

«Da 37 anni in terapia intensiva, non ho mai visto una cosa del genere». Il racconto doloroso di un medico

Giorgio Berlot, docente e primario all’ospedale Cattinara di Trieste, ripercorre i suoi primi mesi nella rianimazine Covid-19

di Gloria Frezza

«Io sono in terapia intensiva da 37 anni e una cosa del genere non l’ho mai vista in vita mia. Ho vissuto qualche altra epidemia; ricordo l’H1N1, la Sars, ma una con un virus così forte, di una vastità tale da spargere infinito dolore e disperazione, non l’ho mai vista. Adesso tutti quelli che fanno i sapientoni, usando espressioni del tipo “lo sapevo” o “l’avevo detto”, in realtà, come me, neanche loro si aspettavano una malattia di queste proporzioni». È piena di dolore la testimonianza di Giorgio Berlot, docente di Anestesia e Rianimazione all’Università di Trieste e primario del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Cattinara, raccontata a Interris.it.

Parla del suo Friuli e ringrazia di aver avuto qualche settimana in più per poter preparare gli ospedali all’arrivo dei pazienti, cosa che non è stata concessa ai colleghi lombardi. «Abbiamo avuto il tempo di far arrivare dispositivi e protezioni, ma soprattutto siamo riusciti a trasformare la terapia intensiva dell’ospedale in una terapia intensiva presso negativa –  ricostruisce il primario – cioè con l’aria che non può uscire e tutto quello che c’è dentro deve essere aspirato attraverso i filtri e buttato fuori». Preparati anche psicologicamente, con una specie di addestramento per tutti i coinvolti, le conseguenze del contagio li hanno comunque travolti.

L’organizzazione è stata la prima regola: «Quando abbiamo cominciato a lavorare con questi pazienti, ho formato un gruppo che a sua volta aveva dei sottogruppi di due persone, ognuno dei quali si occupava di determinati aspetti come la ventilazione, gli antibiotici, la nutrizione eccetera – evidenzia Berlot –. Due elementi per ogni gruppo perché ho sempre messo in conto che uno dei due potesse ammalarsi. Per fortuna ad oggi, il mio reparto è uno dei pochi nell’ospedale di Trieste dove nessun medico si è ammalato. Ci comportiamo sempre come se tutti i pazienti che arrivano fossero pazienti Covid. Questo è un gioco di squadra, dal primario alla signora che raccoglie i camici sporchi, sono tutti fondamentali».

LEGGI ANCHE: «OGGI ABBIAMO VINTO NOI», RACCONTI INTENSI DALLE TERAPIE INTENSIVE COVID-19 SUL BLOG DI SIAARTI

La paura non è stata facile da arginare, racconta il primario, anche quella verso il paziente che poteva a sua volta contagiare loro. Tutti i pensieri sono come congelati dentro quella tuta impermeabile in cui si suda senza poter mai bere o andare in bagno. «Ci si impiega 8-10 minuti per indossarla all’inizio, poi anche cinque minuti, ma mentre vestirsi è facile, svestirsi diventa più complicato e pericoloso, perché se non si presta molta attenzione è quella la volta in cui ci si potrebbe contaminare».

Poi il dolore di dover comunicare alle famiglie che i loro cari non ci sono più. «In quei casi però bisogna ammettere che noi abbiamo fatto di tutto, in scienza, conoscenza e nelle possibilità, ma non ce l’abbiamo fatta. Nella mia esperienza di medico – ricorda il primario – non è la prima volta che mi ritrovo a dare queste comunicazioni, ma solitamente queste informazioni vengono date guardandosi negli occhi. La pandemia invece non ce lo consente e devo comunicare queste notizie alle persone per telefono, genitori, figli e nipoti che nelle ultime ore di vita dei loro parenti non possono stare loro vicini, così come abbiamo sempre fatto fare, in modo che possano dare ai loro cari un’ultima carezza».

LEGGI ANCHE: COME COMUNICARE CON I FAMILIARI DEI PAZIENTI RICOVERATI IN ISOLAMENTO? LA GUIDA DELLE SOCIETÀ SCIENTIFICHE IN PRIMA LINEA

«Spero si trovi un vaccino, perché temo che la pandemia continuerà ancora molto – non nasconde i suoi timori il dottore –. Leggendo libri di epidemiologia si evince che il virus della spagnola ebbe una prima botta forte nella primavera del 1918, una meno forte nell’autunno dello stesso anno e due ricadute fortissime nella primavera del 1919. Tutto ciò spaventa e fa presagire che non sia finita qua».

Tra i farmaci usati, sottolinea Berlot, uno li ha fatti ben sperare: «Il farmaco per l’artrite reumatoide individuato dal professor Paolo Antonio Ascierto, oncologo dell’ospedale Pascale di Napoli. Questo farmaco, utilizzato precocemente, ha dato numerosi risultati positivi. Una notte sono arrivati due pazienti gravissimi da Cremona e contro ogni protocollo ho deciso di curarli subito con questo farmaco –  conclude il primario –. In cinque/sei giorni sono subito migliorati, tornando a respirare autonomamente. Ad uno di questi, tramite il telefonino, abbiamo mostrato l’immagine della moglie in video chiamata, incinta e in attesa di riavere il marito a casa con lei. Sono momenti, volti e gesti che non dimenticherò mai».

 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

Articoli correlati
Nasce il progetto PMLAb per i pazienti COVID-19 immunocompromessi
La gestione del paziente immunocompromesso con COVID-19 richiede una particolare attenzione, che si concretizza con le Profilassi Pre-Esposizione con anticorpi monoclonali. A questo scopo è nato il progetto Prevention Management LAboratory (PMLAb), presentato oggi a Roma
Covid, alcune persone potrebbero aver perso l’olfatto per sempre? L’ipotesi allarmante in uno studio
La perdita dell'olfatto a causa di Covid-19 potrebbe durare a lungo o addirittura per sempre. Uno studio rivela che una persona su 20 non l'ha recuperato dopo 18 mesi
Covid-19 e vaccini: i numeri in Italia e nel mondo
Ad oggi, 28 febbraio 2023, sono 675.188.796 i casi di Covid-19 in tutto il mondo e 6.870.894 i decessi. Mappa elaborata dalla Johns Hopkins CSSE. I casi in Italia L’ultimo bollettino disponibile (23 febbraio 2023): Oggi in Italia il totale delle persone che hanno contratto il virus è di 25.576.852 (4.720 in più rispetto a ieri). Il […]
Ascom Digistat, le nuove frontiere dell’ICT al servizio del settore sanitario
Ascom Digistat Suite è una piattaforma software per la gestione dei dati clinici dei pazienti progettata per l’utilizzo da parte di medici, infermieri e personale sanitario. Prevede un’ampia gamma di soluzioni: dalla gestione del percorso chirurgico del paziente, al trattamento del paziente in terapia intensiva, al monitoraggio dei parametri fisiologici e di allarmi, inclusi i dispositivi indossabili
Si possono bere alcolici quando si risulta positivi al Sars-CoV-2?
Il consumo di alcolici è controindicato quando si è positivi al virus Sars CoV-2. Gli studi mostrano infatti che gli alcolici possono compromettere il sistema immunitario
GLI ARTICOLI PIU’ LETTI
Advocacy e Associazioni

Percorso Regolatorio farmaci Aifa: i pazienti devono partecipare ai processi decisionali. Presentato il progetto InPags

Attraverso il progetto InPags, coordinato da Rarelab, discussi 5 dei possibili punti da sviluppare per definire criteri e modalità. Obiettivo colmare il gap tra Italia e altri Paesi europei in ...
Advocacy e Associazioni

Disability Card: “Una nuova frontiera europea per i diritti delle persone con disabilità”. A che punto siamo

La Disability Card e l'European Parking Card sono strumenti che mirano a facilitare l'accesso ai servizi e a uniformare i diritti in tutta Europa. L'intervista all'avvocato Giovanni Paolo Sperti, seg...
Sanità

I migliori ospedali d’Italia? Sul podio Careggi, l’Aou Marche e l’Humanitas di Rozzano

A fotografare le performance di 1.363 ospedali pubblici e privati nel 2023 è il Programma nazionale sititi di Agenas. Il nuovo report mostra un aumento dei  ricoveri programmati e diu...