Lavoro e Professioni 5 Luglio 2016 15:38

Dagli OPG alle REMS: «Ecco cosa è cambiato e cosa ancora non funziona»

Intervista a Giuseppe Ortano, Direttore Unità Operativa di Igiene Mentale di Mondragone: «Le risorse sono limitatissime. Serve più formazione continua per gli operatori»

Dagli Opg alle Rems. Non è solo una modifica nella denominazione, ma un vero e proprio cambiamento strutturale e culturale, quello che sta avvenendo da diversi mesi a questa parte. Un lento processo che, se da un lato vede l’effettiva chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, dall’altro non riesce ancora a trovare un pronto riscontro nelle Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria. Lo ha denunciato di recente il Commissario unico per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari Franco Corleone, che per descrivere la situazione attuale ha usato un’efficace metafora: «Abbiamo una vasca da bagno con un buco di scolo per chiudere gli Opg molto stretto e dall’altro un rubinetto aperto che la riempie fino a farla traboccare». Sanità Informazione ha chiesto a Giuseppe Ortano, Direttore dell’Unità Operativa di Igiene Mentale di Mondragone, come funziona, quali sono i punti di forza e quali quelli di debolezza di questo tipo di struttura.

«Abbiamo dato avvio a questa esperienza immediatamente dopo l’emanazione della legge 81, quindi siamo operativi dagli inizi di aprile. Le persone hanno cominciato ad arrivare più o meno un mese dopo. L’idea di base era quella di mettere a disposizione la struttura per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici, quindi per permettere di far entrare il più presto possibile persone già internate. Purtroppo, però, è successo che sin da subito siamo stati sommersi da assegnazioni di persone che o venivano da una condizione di libertà, o magari avevano avuto dei problemi durante le licenze finali, per cui invece di tornare agli Opg, che ormai erano chiusi, sono venuti qui».

La formazione del personale sanitario che lavora in una Rems ha un ruolo particolarmente importante. Quali sono le skills principali che deve avere un operatore per lavorare in questo settore? Quali qualità e che formazione deve avere?

«Credo che non ci dovrebbero essere grosse differenze rispetto a qualunque altra formazione che inerisce il campo della salute mentale. Senza dubbio, l’operatore deve dimenticarsi totalmente dei pregiudizi di cui erano portatori rispetto ad un’istituzione carceraria. In questo momento, inoltre, la Asl sta facendo a tappeto dei percorsi di formazione per tutti gli operatori impegnati nelle Rems e nei servizi di salute mentale. Certo, evidentemente c’è bisogno di formazione continua, ma il tentativo lo si sta facendo».

Quali sono i passi avanti che si sono fatti in questi mesi.

«Per ogni singolo paziente sono previsti progetti terapeutici individuali. La legge ci impone dei progetti terapeutici interni alla struttura, ma impone anche che le Unità Operative di riferimento non facciano più come è successo negli anni passati con gli Opg, quando non ci si interessava del futuro del paziente uscito dalla struttura. Entro 45-60 giorni, ogni Unità Operativa deve prendere contatto con noi e fare dei progetti per ogni singola persona che esce dalla struttura».

Quali sono le principali criticità che lei ravvisa in questa nuova esperienza dei Rems?

«Ci sono varie criticità. Il problema più grosso però è che non è cambiato il codice penale. È ancora vigente il codice Rocco, per cui ci confrontiamo ancora con concetti come l’imputabilità, la semimputabilità, la capacità di intendere e di volere, eccetera. Insomma, c’è ancora tutto un discorso sulla pericolosità sociale e poco è cambiato anche in seguito all’emanazione della legge 81. Accade dunque che le persone che stanno qui, in misura definitiva o provvisoria, vivono sempre con il “pericolo” di essere all’improvviso dichiarati non più socialmente pericolosi e di venire scarcerati, senza sapere dove andare. Un’altra difficoltà l’abbiamo avuta di recente con il Dap [Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ndr]: è capitato che la sede centrale del Dap di Roma, ovvero il soggetto che fa le assegnazioni, non tenga in considerazione la reale capienza della struttura. Ma se io ho una struttura che può accogliere otto persone, otto ne posso mettere. Non posso metterne nove, perché se eseguo l’ordine e arrivano i Nas, chiudono la struttura perché ho perso le autorizzazioni sanitarie. Insomma, in generale le risorse sono limitatissime, limitatissime. L’idea che avevamo di una volta dei centri di salute mentale operativi h24 con accoglienza continua sta saltando nei fatti, oltre che, magari, per idee di restaurazione che qualcuno ha in testa».

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