Turni che superano le 48 ore, 11mila strutture complesse e semplici tagliate, un taglio del salario accessorio del 20% rispetto al 5% della riduzione del numero dei medici e poi ancora le aggressioni e il contenzioso. Il presidente CIMO spiega cosa affrontano i medici
Pensate iniziare a fare il lavoro che avete sempre sognato, sapendo che le possibilità di carriera sono ridotte all’osso e che lo sarà altrettanto quel famoso work-life balance che gli psicologi raccomandano. Eppure è il destino che tocca ai giovani medici in questo momento e a metterlo nero su bianco è stato il dossier “Medici senza futuro, un futuro senza medici“, redatto dalla Federazione CIMO-FESMED.
Lo ha raccontato ai microfoni di Sanità Informazione il presidente Guido Quici, incontrato in occasione della Conferenza nazionale sulla “Questione medica” a Roma. «Abbiamo fatto una sorta di puzzle nel cercare di analizzare a 360 gradi le condizioni di lavoro – spiega Quici -. Dalle ferie non godute che caratterizzano una percentuale elevatissima di medici, all’orario di lavoro che supera abbondantemente le 48 ore, al di là della normativa europea. Al fatto che sono state tagliate 11mila strutture complesse e semplici, un taglio del salario accessorio del 20% rispetto al 5% della riduzione del numero dei medici e poi ancora le aggressioni e il contenzioso, le denunce quotidiane che subiscono i medici».
Per un medico è la normalità essere in turno per oltre 50 ore a settimana, arrivare anche a 7-8 notti al mese e non andare in ferie. Ogni anno molti di loro affrontano tra le 2.500 aggressioni e i 35mila contenziosi, come aggiunta a una professione già logorante. C’è poi, lo dice chiaro il dossier, un continuo cambio di mansioni (il “task shifting”) che non favorisce la carriera, accompagnato dalla creazione di nuove figure gestionali a scapito dei medici stessi. Senza dimenticare uno dei tasti più dolenti: gli stipendi, che sono tra i più bassi d’Europa e sottoposti a tagli continui. Con l’aggiunta del 98% delle Aziende che applica ancora il CCNL 2006-2009.
«L’84% dei medici che entrano nel SSN – prosegue Quici – non ha nessuna aspettativa di carriera e, non avendone, si troveranno a essere demotivati. Perché un medico giovane che entra in PS e rischia di trascorrervi tutta la sua vita lavorativa, notti, festivi e sacrificando la famiglia per nessuna prospettiva di carriera ovviamente si scoraggia e va via. C’è una grande fuga dagli ospedali, ma sono gli stessi giovani che provando a lavorare in condizioni ingestibili chiedono di andare via e trovare un lavoro più tranquillo e sereno. A monte di tutto questo ci sono 1.100 borse di studio andate deserte. In alcuni settori, come la medicina d’urgenza, i colleghi non vogliono proprio lavorare».
E come biasimarli se si trovano di fronte situazioni ingestibili di difficoltà e fatica continue, per di più aggravare dai cosiddetti “sogni spezzati”. Quella carriera folgorante che si sa già che non si potrà avere. Non più «sono un medico», ma «faccio il medico». Un lieve mutamento di lessico, in cui si legge tutta la frustrazione dei giovani – e non solo – che perdono la vocazione ancora prima di goderne i frutti.
Ora proprio a quei giovani si rivolge il ministro della Salute Roberto Speranza. Nel suo discorso alla classe dirigente medica, il ministro ha ribadito che nei prossimi anni gli specializzandi avranno un ruolo chiave per supplire alle carenze. Prima che l’aumento di borse di specializzazione degli ultimi due anni (e questo sarebbe il terzo) dia i suoi frutti.
«Questa è l’unica soluzione in questo momento: lo specializzando nell’ultimo anno potrebbe completare il ciclo formativo all’interno delle strutture ospedaliere, dove la parte pratica è molto più importante – concorda Quici, ma puntualizza -. Se poi gli ospedali diventassero strutture di riferimento anche ai fini formativi, allora si chiuderebbe il cerchio e le cose andrebbero meglio. Io tra 7 o 8 anni mi aspetto una pletora di medici specialisti, quindi avremmo esattamente l’opposto di ora ma poiché c’è stata una grave carenza, conviene definire nuovamente le dotazioni organiche. Una volta si parlava di carichi di lavoro, poi di dotazione organica, poi di fabbisogno standard e sempre di più diluendo la possibilità di individuare quanti medici ci vogliono in quel tipo di reparto o di sala operatoria. Almeno dobbiamo sapere chi e cosa ci vuole per garantire uno standard assistenziale minimo».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato