«Il nostro Paese offre una risposta disomogenea all’assistenza al paziente diabetico. Bene piani nazionali, bene percorsi diagnostico-assistenziali, ma serve prima di tutto l’assistenza nelle case, sul territorio»: l’appello del Coordinatore Nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato
Regioni italiane non allineate rispetto alla presa in carico del paziente diabetico. Questo il risultato dell’indagine condotta da Cittadinanzattiva su 4927 pazienti e 245 professionisti sanitari nell’ambito del Primo Rapporto civico sul Piano Nazionale Diabete presentato oggi a Roma.
«Nonostante ci sia stato un recepimento del Piano Nazionale del Diabete in tutte le aree della Penisola, le risposte delle Regioni ai bisogni di salute sono molto differenziate», spiega ai nostri microfoni Tonino Aceti, Coordinatore Nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato, che sottolinea quanto «la disomogeneità dell’operato delle diverse aree del Paese conduca a risultati non pienamente soddisfacenti».
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«Alcune Regioni hanno adottato Percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) validi e altre no – prosegue Aceti -, altre aree monitorano il numero di pazienti inseriti in questi percorsi e altre no; anche sull’accesso all’innovazione c’è una grande difformità tra Regione e Regione e rispetto all’attuazione del Piano nazionale Diabete nelle singole Regioni ci sono velocità troppo diverse».
Le differenze regionali non finiscono qui: il 21,8% dei pazienti che hanno partecipato al sondaggio paga un ticket sui farmaci; il 76,6% non ha accesso al numero necessario di strisce o sensori per limitazioni nella prescrizione; solo il 12% afferma di essere inserito in un Percorso diagnostico, terapeutico ed assistenziale e, laddove questo avviene, ha degli effetti estremamente positivi sulla qualità di cura e di vita.
«Un quadro molto ampio e differenziato» commenta Maria Teresa Bressi, responsabile progetti e networking del Coordinamento nazionale delle Associazioni di Malati Cronici di Cittadinanzattiva. «Mi sento di sottolineare in particolare la differenza che esiste tra strutture assistenziali di Regione in Regione: in alcune zone ci sono centri di terzo livello (quindi altamente specializzati) e in altre aree invece queste specialità non esistono. Inoltre ci sono Regioni con un grande numero di centri pediatrici, e altre in cui non ce ne sono. Tutto questo lascia perplessi se si pensa che esiste un Piano Nazionale approvato nel 2012».
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«Ci sentiamo di lanciare un appello al Ministero e alle Regioni – conclude Aceti – perché si prendano un impegno: non ci si può fermare all’approvazione di piani nazionali o definizioni di percorsi diagnostici e delibere di recepimento e non andare oltre. Tutto questo non è sufficiente, è sicuramente un inizio, ma quello che poi bisogna fare è scaricare a terra tutte queste decisioni per far arrivare le innovazioni nelle case delle persone e cambiare la vita di chi è affetto da diabete come da altre patologie croniche».