Il documento delle Regioni: «La medicina generale non è più in grado di garantire che l’investimento notevole previsto dal PNRR porti i risultati auspicati». Proposte, obiettivi e criticità
Il ministro della Salute Roberto Speranza lo ripete da mesi: «La parola d’ordine del Sistema sanitario nazionale del futuro sarà “prossimità”». Il territorio deve tornare al centro, per assicurare cura e assistenza a tutti in egual modo e per concentrare negli ospedali le uniche attività che davvero ne necessitano.
In questa direzione va anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli investimenti dedicati alla salute nella missione sei, che insistono sul potenziamento dell’assistenza territoriale. Ma come? Con nuovi modelli organizzativi, valorizzazione delle professioni sanitarie che ne fanno parte e la realizzazione di strutture ad hoc: quelle Case e Ospedali della Comunità che dovranno garantire la risposta di salute ai cittadini. Perché questo cambiamento di rotta si verifichi, però, la Commissione Salute delle Regioni ha voluto sottolineare la necessità di rielaborare la relazione tra professionisti convenzionati e SSN.
Così com’è, hanno scritto in un documento che punta a risolvere il vulnus, «non è più in grado di garantire che l’investimento notevole previsto dal PNRR porti i risultati auspicati in termini di capacità di risposta ai bisogni dei cittadini». Gli accordi con la Medicina Generale, continua il documento, hanno in questi anni ricalcato quello originale del 2006 e reso i testi dell’ACN ambigui e contraddittori. Tra le maggiori carenze quella dell’assenza di un sistema di valutazione che abbia delle ricadute effettive e possa portare ad un innalzamento della qualità.
Infine, la pandemia e le sue conseguenze dalle quali non si può prescindere. Il documento delle Regioni in questo caso non lascia spazio a dubbi: mmg e pediatri di libera scelta non hanno saputo gestire le richieste dei pazienti o gli aiuti a loro dovuti con tamponi, vaccini e test rapidi. «L’istituzione delle USCA ha sopperito alla difficoltà della medicina generale di organizzarsi autonomamente – si legge – per la sorveglianza attiva dei propri assistiti». Non è stato possibile per la Aziende Sanitarie affidare l’attività di sorveglianza ai Mmg/Pls in quanto non esiste uno strumento contrattuale/normativo che possa permettere loro di coinvolgerli.
Per agevolare la risoluzione di problemi che, secondo le Regioni, non possono più aspettare sono quattro le soluzioni ritenute possibili:
In ogni caso, a prescindere dalla forma contrattuale che verrà scelta, secondo le regioni ci sarebbero alcune necessità da garantire: l’obbligo di partecipazione a forme organizzate, la fornitura di prestazioni programmate dalla Regione e dall’Azienda Sanitaria, gli indicatori di garanzia di presa in carico (accountability), l’assistenza domiciliare come parte integrante dell’attività, il superamento del pagamento di PIPP e della remunerazione dei singoli interventi domiciliari, l’obbligo di inserimento nelle strutture del PNRR, la ridefinizione della Continuità Assistenziale (ex Medico di Guardia) e la presenza e il ruolo dell’infermiere di comunità.
La dipendenza significherebbe un inserimento totale dei singoli professionisti nell’organizzazione aziendale. Tuttavia, permetterebbe la libera scelta da parte del cittadino al fine di mantenere il rapporto di fiducia instaurato finora. I mmg lavorerebbero nelle strutture di Comunità e aiuterebbero a coprire quelle sedi e aree dislocate che non sono normalmente scelte dai professionisti e sono pertanto lasciate sguarnite. Per ottenerne l’attuazione è però necessario un atto normativo nazionale che gestisca l’aumento di dotazione organica nel personale e cambi l’inquadramento dei mmg. Inoltre, dal punto di vista previdenziale bisognerebbe considerare come gestire il passaggio alla contribuzione INPS o se mantenere per lo specifico ruolo quella con ENPAM.
Per realizzarla sarebbe necessaria una ridefinizione dell’Accordo Collettivo Nazionale in senso più chiaro e stringente. Da declinare al suo interno:
Questa alternativa chiederebbe al SSN uno sforzo maggiore in termini di definizione di requisiti e maturazione delle competenze per le relazioni contrattuali ma potrebbe evitare alcune problematiche evidenti. Dovrebbe prevedere:
In questo caso andrebbero attuate le modifiche normative per permettere l’assunzione a tempo indeterminato dei medici con il solo attestato CFSMG (oggi solo i medici specializzati possono essere assunti) e a impiegare come medici di assistenza primaria medici specializzati (definizione delle equipollenze), ma la previsione di un doppio canale permetterebbe di gestire nel tempo il percorso senza dover affrontare tutto il sistema nel suo complesso. Poi essendo un doppio canale, bisognerebbe provvedere ad una revisione dell’ACN che faccia sì che i medici che mantengono lo status convenzionale si attengano agli standard definiti a livello nazionale e regionale.
Da non dimenticare lo snodo che riguarda la formazione dei professionisti. Una delle proposte nel documento è quella di valutare il passaggio del CFSMG all’Università. A cui si aggiunge la richiesta di definizione di equipollenze rispetto alle specializzazioni compatibili con la normativa europea.
Infine nel documento si dedica spazio all’infermiere di famiglia. Descritta come una figura che «è oramai una realtà condivisa dai sistemi sanitari regionali e ne sono state definite le competenze ma va valutata attentamente la relazione con i Mmg/Pls, anche a seconda dei modelli regionali più o meno internalizzati». Dunque «a prescindere dai diversi ruoli che l’infermiere potrà assumere all’interno dell’organizzazione distrettuale, risulta di essenziale importanza la presenza fisica nello stesso luogo di lavoro di mmg e infermiere, professionista, quest’ultimo, che anche in tale assetto organizzativo può implementare la propria autonomia e responsabilità».
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