Sono oltre 6 milioni gli italiani che soffrono di malattie alla tiroide e la patologia è in aumento. Roberto Castello (AME): «Facciamo chiarezza, Chernobyl non c’entra, le malattie alla tiroide ci sono sempre state ma adesso è più facile diagnosticarle»
Arrivano le Linee Guida dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME) e dell’American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) sull’ipotiroidismo. Il documento, pubblicato su Endocrine Practice, fornisce indicazioni per personalizzare e rendere più efficace la terapia. Infatti, l’ipotiroidismo, pur non essendo una patologia grave, comporta ripercussioni non solo sul fisico del paziente ma anche sul suo umore. Le Linee Guida possono essere utili sia al medico che al paziente per affrontare la migliore terapia dettata anche dalle esigenze personali di ogni individuo. Sul tema dei disturbi alla tiroide, di cui soffrono circa 5 milioni di italiani, Sanità Informazione ha intervistato un esperto in materia, Roberto Castello, endocrinologo, direttore di Medicina Generale e Past President AME.
Le malattie alla tiroide sono in aumento. Da alcune statistiche risulta che prima a soffrirne erano prevalentemente le donne, ora il problema si sta diffondendo anche fra gli uomini?
«Le patologie legate alla tiroide interessano circa il 30% delle persone. Negli ultimi tempi sono aumentate le diagnosi relative agli individui maschili ma per una ragione ben precisa: i problemi alla tiroide da una parte sono in crescita, ma dall’altra sono maggiormente diagnosticati perché la tecnologia ha fatto progressi e individuare il problema ora è più semplice rispetto al passato. Attraverso una serie di indagini strumentali si può studiare la tiroide e vedere situazioni che prima non conoscevamo. Per esempio, oggi con l’ecografia riusciamo a vedere quello che prima non vedevamo, come noduli di pochi millimetri. Quindi diciamo che le malattie della tiroide sono patologie frequenti e in crescita ma oggi sono più diagnosticate perché ci sono gli strumenti per farlo. La questione positiva è che di base difficilmente queste patologie portano alla morte».
Quali sono le patologie più comuni e come prevenirle?
«La patologia più comune è sicuramente la Tiroidite Autoimmune di Hashimoto. In questo caso per la prevenzione c’è poco da fare, perché si tratta di un’alterazione del sistema immunitario, quindi parliamo di una predisposizione genetica. Esiste qualche tipo di prodotto farmaceutico ma al momento non è stata dimostrata la sua efficacia nel bloccarla. In ogni caso, è una situazione che si può facilmente controllare. Io vorrei lanciare un monito, raccomando a tutte le donne giovani che cercano una gravidanza, di controllare sempre il valore della tiroide perché questo è importante in ogni momento della vita ma soprattutto quando si vuole affrontare una gravidanza».
È possibile che i problemi alla tiroide siano maggiormente diffusi in Italia e in Europa rispetto ad altri Paesi?
«Se in questa domanda c’è il riferimento a Chernobyl direi di no. Chernobyl non c’entra. Molteplici studi dimostrano che sì, l’impatto delle radiazioni è giunto anche in Italia, ma non così potente da determinare questo genere di problemi di salute. Vorrei, in particolare, fare riferimento a uno studio recente che prendendo in esame i nati dall’anno ’86, (quando si verificò il disastro di Chernobyl) fino a quelli del ’90 circa, non trova alcun elemento che possa far pensare ad un incremento d’incidenza della patologia. Ripeto, forse c’è una sovradiagnosi, testimonianza di questo è un articolo uscito tre mesi fa sul New England, la bibbia dal punto di vista della medicina, in cui si parla addirittura di ‘epidemia di malattie della tiroide’. Non è così, emergono più casi perché è possibile con la tecnologia evidenziare patologie che prima non era semplice individuare».
Le malattie della tiroide, oltre a provocare disfunzioni metaboliche, incidono anche sull’umore, sul carattere me sullo stile di vita della persona?
«Sì, incidono sulla normale quotidianità, è innegabile. È anche vero che qualsiasi malattia, anche la più semplice, comunque incide inevitabilmente sul nostro stato d’animo. Come dicevano i latini, ‘mens sana in corpore sano’. In questa ottica è fondamentale il rapporto medico-paziente, non solo dal punto di vista della diagnosi e del trattamento ma anche dal punto di vista umano. Fondamentale la comunicazione: parlare con i pazienti non significa perdere tempo, ma spiegare i dettagli della malattia, l’evoluzione e le varie manifestazioni di quest’ultima, fa bene, soprattutto dal punto di vista psicologico».