L’articolo 13 della Legge Gelli impone l’immediata comunicazione a tutto il personale coinvolto nel contenzioso appena scatta la denuncia. Operatori sanitari già pieni di segnalazioni con rischi per reputazione, assicurazione e privacy. L’analisi di Francesco Del Rio (Consulcesi & Partners)
Medici e operatori sanitari hanno un nuovo incubo: l’amministrazione difensiva. Lontana parente della più conosciuta medicina difensiva, questa nuova fastidiosa prassi sta diventando l’ennesima fonte di stress psico-fisico (ma non solo e capiremo poi perché) per quei professionisti già provati dalle annose criticità e poi dal Covid.
Tra gli effetti già tangibili della piena operatività della Legge 24/17 sulla responsabilità professionale c’è infatti l’applicazione dell’articolo 13, che prevede letteralmente l’obbligo di comunicazione all’esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità. Tradotto dal “legalese” questo significa che ad ogni denuncia per casi di malpractice tutti coloro che hanno avuto a che fare con il paziente in questione, ricevono immediatamente comunicazione scritta.
Dunque, se prima si scopriva di essere coinvolti in un procedimento solo nel tratto finale, ora se ne ha subito notizia. Secondo le segnalazioni raccolte da Consulcesi&Partners, la stima oscilla tra le 6/7 segnalazioni mensili di denunce, in cui poi la gran parte delle posizioni dei coinvolti verrà stralciata, senza considerare la statistica nazionale secondo cui il 95% delle cause intentate finisce con un nulla di fatto. Il problema, però, si faccia attenzione, non è solo psicologico. Non si tratta semplicemente di trascorrere notti insonni (alternate a quelle in corsia…) a pensare ad un procedimento che potrebbe anche durare tantissimi anni.
C’è infatti un problema di privacy che innesca anche un profilo di rischio per la reputazione ed una immancabile ricaduta assicurativa. Pur nascendo con il nobile intentato di creare una sinergia tra struttura e dipendente in caso di azioni risarcitorie, l’articolo 13 nella sua applicazione è di fatto divenuto una meccanica e fredda comunicazione automatica: una notifica avverte del coinvolgimento e, spesso, viene allegata anche la denuncia con tutti con nomi, cognomi e tutti i dati sensibili in bella vista ed a disposizione di tutti con chiare ricadute anche sul piano reputazionale. Ma non è ancora tutto. La notifica rappresenta infatti già quello che in tema di polizze per la responsabilità professionale è definito “fatto noto” che dovrebbe essere comunicato alla propria compagnia assicurativa con evidenti ripercussioni; dall’aumento del premio all’esclusione di queste fattispecie fino all’inefficacia della copertura.
Una bella grana, insomma, che secondo l’avvocato Francesco Del Rio di Consulcesi & Partners impone al personale sanitario, che lavora nel pubblico, di muoversi con grande attenzione.
Fino a qualche tempo fa, ossia prima dell’entrata in vigore della L. n. 24/17, la gestione dell’azione di rivalsa per danno erariale indiretto risultava, francamente, meno problematica per il medico dipendente pubblico. Infatti, costui veniva coinvolto (magari a distanza di molti anni) soltanto nel momento in cui, effettivamente, l’azienda sanitaria aveva provveduto ad assumere un onere economico a seguito di un accertato caso di responsabilità, che lo vedeva potenzialmente coinvolto, per cui riceveva un preavviso di rivalsa per danno erariale in cui gli si ingiungeva il pagamento delle somme versate al danneggiato preconizzando la colpa grave.
Si ricordi, infatti, che proprio ragionando in termini di prescrizione dell’azione di rivalsa, la giurisprudenza contabile ha affermato, ormai in modo consolidato, che la prescrizione inizia a decorrere solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ossia dalla data di emissione del titolo di pagamento al terzo danneggiato, atteso come soltanto da questo istante si realizza l’effettivo depauperamento del patrimonio dell’amministrazione.
Certamente, questa procedura scontava il fatto che il sanitario rimanesse, per anni, completamente all’oscuro di tutti gli accadimenti connessi alla richiesta risarcitoria formulata dal paziente e all’eventuale contenzioso scaturito con l’azienda datrice di lavoro ma, di fatto, il suo coinvolgimento assumeva rilievo giuridico soltanto nel momento in cui la struttura avesse materialmente sostenuto una spesa.
Con l’avvento della legge n. 24/17, il panorama è completamente mutato producendo, da un lato, una maggiore efficienza e trasparenza della macchina amministrativa, ma nel contempo provocando una serie di conseguenze non sempre piacevoli ed, in ogni caso, giuridicamente rilevanti, oltre che psicologicamente e professionalmente importanti.
Questo il testo dell’art. 13 attualmente in vigore.
Le strutture sanitarie e sociosanitarie e le imprese di assicurazione entro quarantacinque giorni comunicano all’esercente la professione sanitaria, mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l’avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte.
L’omissione, la tardività o l’incompletezza delle comunicazioni di cui al presente comma preclude l’ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui all’articolo 9.
In estrema sintesi è stato introdotto l’obbligo per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche o private, nonché per i rispettivi istituti assicuratori, di inviare all’esercente la professione sanitaria una comunicazione formale – e quindi a mezzo Pec o R.R. – che sono in corso delle trattative con il paziente danneggiato, ovvero che l’azienda ha ricevuto la notizia di un atto giudiziale con riferimento ad un trattamento sanitario che lo vede interessato.
L’eventuale omissione, tardività o incompletezza di questa comunicazione comporta la decadenza delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa.
Come si può agevolmente intendere, ciò che prima rappresentava il tratto finale e soprattutto eventuale di un lungo percorso, è stato posto ora in una fase piuttosto anticipata, con l’ulteriore aggravio per cui l’eventuale decorso del breve termine concesso all’azienda per la comunicazione comporta l’inammissibilità della successiva (e vorremmo dire, in quel momento meramente ipotetica) azione di rivalsa, con ovvie ripercussioni, sempre a titolo di danno erariale, a carico di coloro che fossero incorsi in responsabilità per aver fatto spirare il termine senza colpevolmente attivarsi.
La ristrettezza del termine, lo scarso numero di risorse amministrative, la farraginosità dei flussi gestionali dei comitati di valutazione rischi insediati presso le strutture sanitarie hanno quindi inesorabilmente comportato il ricorso ad una gestione, che parafrasando un termine abusato in medicina, “difensiva” di questo incombente, con un profluvio davvero imponente di comunicazioni a tutti i sanitari che, in qualsiasi modo, possono aver partecipato al trattamento incriminato.
Nel corso di questi mesi, abbiamo registrato numerosi contatti da parte di medici che, nel giro di pochi mesi, si sono visti recapitare decine di comunicazioni del genere, addirittura per casi del tutto distanti rispetto alla loro specifica competenza, con conseguenze in termini di disagio professionale e psicologico di non poco rilievo. Infatti, occorre ricordare che queste comunicazioni, a tacer di improvvide risposte ricevute nei corridoi degli ospedali, non sono affatto prive di rilievo giuridico (anzi), e non solo.
Conseguenze di natura psicologica, dacché visti i canali digitali utilizzati, le comunicazioni pervengono al sanitario direttamente sulla posta certificata collegata al personale dispositivo telefonico. Inoltre, con questa modalità, si viene a conoscenza (soprattutto quando viene allegato l’atto giudiziale introduttivo notificato dal legale del paziente) del potenziale coinvolgimento di altre figure professionali, con conseguenti ripercussioni sia in termini di tutela della privacy che della personale onorabilità propria ed altrui.
Infine, si rammenti che il pervenimento di una siffatta comunicazione assume decisivo rilievo anche in termini assicurativi, venendo a costituire quello che, nel mondo delle polizze di responsabilità professionale sanitaria e per colpa grave, viene definito “fatto noto”.
Infatti, qualora avesse in corso una polizza di Responsabilità Civile per colpa grave, il sanitario dovrebbe comunque mettere a conoscenza la propria Compagnia assicurativa di tutte le comunicazioni ricevute così come, durante le trattative per la sottoscrizione di un nuovo contratto, dovrebbe compilare il predisposto questionario notiziando puntualmente il futuro assicuratore dell’esistenza di queste potenziali pendenze.
È fin troppo evidente che, nel secondo caso, l’assicuratore potrà agevolmente proporre un prodotto, che esclude la copertura per i “fatti noti”, ovvero valorizzare adeguatamente il maggior rischio con un congruo aumento del premio proposto, mentre nel primo potrebbe usufruire della prima scadenza contrattuale utile per risolvere (come sta accadendo) la polizza in corso, confidando nel fatto che la semplice comunicazione ex art. 13 della L. n. 24/17 non costituisce sinistro a termini di contratto, per poi opporre l’inefficacia della copertura allorché pervenga (spesso alcuni anni dopo) la notizia dell’effettiva apertura della procedura contabile.
Insomma, vien da dire che quello che, nell’intento del legislatore, voleva rappresentare uno potenziale strumento di condivisione sinergica struttura/dipendente sanitario rispetto alle iniziative risarcitorie provenienti da terzi, consentendo a quest’ultimo di rimanere costantemente informato di tutto l’iter seguito nel caso che lo vedeva coinvolto, si è trasformato in un freddo automatismo comunicativo “autotutelante” che, lontano dalla lettura banalizzante proposta dagli Uffici aziendali, sta producendo inevitabili ripercussioni psicologiche sui sanitari che, già altamente stressati da condizioni di lavoro sempre più gravose, devono ora occuparsi anche della gestione di tutte queste comunicazioni attivando le necessarie tutele, anche assicurative, per non rischiare di veder compromessi i propri interessi economici e professionali.
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