di Luigi Pais dei Mori
L’etimologia della parola “responsabilità”, richiama al “responsus”, ovvero la capacità di riscontrare una domanda e, aggiungendo un po’ di deontologia, il dovere di farlo, in ottemperanza ad una obbligazione determinata da ruolo. In ambito giuridico, la filosofia diventa concretezza, che si ritrova in due assett sostanziali della responsabilità professionale:
– il principio di congruità, ovvero quello che noi oggi chiameremo “agire evidente” o “evidence based”;
– il principio di diligenza professionale, o diligenza qualificata, secondo quanto richiamato dall’art. 1176 cc e vincolata all’obbligazione di mezzi.
Il presupposto a tutto questo, peraltro uno dei criteri guida stabiliti dalla L. 42/1999 e quindi caposaldo evolutivo delle professioni sanitarie ivi citate, è la formazione, che, a sua volta, è il presupposto della competenza ed è interessante anche l’etimologia della “competenza”, che deriva da “cum-petere”, ovvero “andare insieme”, convergere in un unico punto. La densità degli argomenti sulla salute digitale oggi è notevole, ma il tema, quantomeno sotto il profilo normativo, ha avuto una genesi decisamente più dilatata nel tempo.
Un primo input decisivo, è stato dato, ancora una volta, dall’Unione Europea, con il documento “Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni sulla telemedicina a beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e della società” del 4 novembre 2008, che, nelle sue conclusioni definisce lapidariamente : “È tempo che la telemedicina migliori la vita dei pazienti ed offra nuovi strumenti ai professionisti della sanità: la telemedicina può essere d’aiuto nell’affrontare le sfide principali per i sistemi sanitari e può offrire opportunità considerevoli all’industria europea”.
Era il 2008. Il recepimento sostanziale del messaggio avvenne in seno all’Assemblea generale del Consiglio Superiore di Sanità, che, il 10 luglio 2012 approva le prime linee di indirizzo nazionali sulla Telemedicina, a loro volta recepite il 20 febbraio 2014 dalla Conferenza delle Regioni. Unico neo: la sempiterna “clausola di invarianza finanziaria”, che condannava inequivocabilmente lo sviluppo ai ceppi dell’isorisorse, lasciando il tutto quasi a bagnomaria, fino all’avvento della pandemia.
Il vecchio adagio de “bisogna fare di necessità virtù” ha certamente catalizzato per via enzimatica una reazione che, in tutta evidenza, faticava a partire e quindi arriva, provvidenzialmente, il “Rapporto ISS COVID-19 n. 12/2020 – Indicazioni ad interim per servizi assistenziali di telemedicina durante l’emergenza sanitaria COVID-19”, cui seguirà il 17 dicembre 2020 l’approvazione in Conferenza Stato – Regioni delle indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in Telemedicina. Il documento rileva in modo decisivo, soprattutto per alcuni aspetti cruciali per l’implementazione (vera) del sistema, prima quasi del tutto disattesi, ovvero, in primis, la responsabilità sanitaria durante l’attività di telemedicina, ricordando che l’art. 7 della L. 24/2017 riporta nell’alveo della responsabilità contrattuale anche le prestazioni effettuate in telemedicina.
Le 12 righe del documento in parola dedicate alla “Responsabilità sanitaria durante l’attività di telemedicina” altro non fanno che proporre l’assioma dell’equiparazione normativa e deontologica tra “atto sanitario compiuto in presenza e a distanza”, vincolando il professionista all’obbligo della riprogrammazione in presenza dell’atto stesso, qualora il risultato sua insufficiente per qualunque motivo. Il lungo cammino della norma, ormai catalizzata dagli eventi, trova ulteriore espressione in altre disposizioni della Conferenza delle Regioni e del Ministero della Salute, per arrivare alle note e criticate “Linee guida per i servizi di telemedicina – Requisiti funzionali e livelli di servizio”, pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 02/11/2022.
Documento criticato da varie parti, soprattutto professionali, per alcuni anacronismi disfunzionali (“L’eleggibilità clinica è a giudizio insindacabile del medico, che, in base alle condizioni cliniche e sociali del paziente, valuta se proporre al paziente i servizi di telemedicina”), ma soprattutto per le tematiche che riportano il pensiero al tema della competenza: “Saranno, inoltre, valutate sia l’idoneità che la dotazione tecnologica di cui il paziente dispone e la capacità di utilizzo degli appositi kit per la telemedicina. In quest’ultimo caso può anche essere necessario un sopralluogo per verificare le caratteristiche fisiche, impiantistiche ed igieniche del domicilio del paziente. Contestualmente andranno verificati gli aspetti connessi con la digital literacy del paziente e/o del caregiver al fine di valutare l’appropriatezza dei dispositivi e il grado di autonomia nell’uso”. Nasce un nuovo tipo di fragilità, quella digitale, di cui i sanitari dovranno comunque farsi carico ed essere agenti proattivi di soluzioni. Ma la “com-petenza” non era andare tutti nella stessa direzione?
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