«Auspichiamo un piano nazionale condiviso: come seconda “gamba” del SSN abbiamo il dovere morale e professionale di dare risposte puntuali» spiega Barbara Cittadini (Aiop). «Il nostro supporto si realizza secondo i piani ordinati dal Ministero della Salute per un periodo, per ora, di 60 giorni. Siamo tutti pronti a prolungarlo in caso di ulteriore necessità» afferma Padre Virginio Bebber (Aris)
«Tutta l’Italia è zona protetta. Non c’è più tempo». Con queste parole, schiette e decise, il premier Giuseppe Conte ha sintetizzato l’attuale situazione nella conferenza stampa a Palazzo Chigi, in una serata difficile per tutti gli italiani. Gli ospedali sono in tilt, i contagi e i morti, purtroppo, continuano a salire. La drammatica battaglia contro il coronavirus sta sfiancando il SSN; per contenere la diffusione e potenziare le strutture sanitarie vicine al collasso, anche la componente di diritto privato del sistema vuole fare la sua parte. Sanità pubblica e sanità privata insieme, a braccetto e al lavoro per l’obiettivo comune e per dimostrare la solidità della loro unione.
«In qualità di componente di diritto privato del SSN ci siamo immediatamente attivati per garantire la nostra sinergia con la componente di diritto pubblico – spiega il presidente dell’Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) Barbara Cittadini a Sanità Informazione –. Lo abbiamo fatto fin da subito in Lombardia dove è scoppiato il fenomeno e dove il problema è emerso nella sua drammaticità». Massima collaborazione anche da parte di Padre Virginio Bebber, Presidente dell’Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari (Aris): «Scendere in campo al fianco delle strutture pubbliche è stata una conseguenza naturale per i nostri ospedali che funzionano gratuitamente o tramite ticket, ma la disponibilità è totale anche da parte delle Case di cura, i Centri di Riabilitazione ed RSA che non sono organizzate come ospedali veri e propri e per questo il loro impegno è limitato ad accogliere malati ordinari che hanno comunque bisogno di ospedalizzazione e che vengono trasferiti dagli ospedali per lasciare posti liberi agli infettati dalla Covid-19» precisa.
In Lombardia, nella regione più colpita dall’epidemia di Covid-19, l’attenzione è massima e l’impegno è costante: sia Aris che Aiop hanno sottoscritto un piano di condivisione della gestione dell’emergenza e un protocollo d’intesa con protezione civile e Regione fornendo, in base alle richieste, non solo posti letto attrezzati ma anche personale medico ed infermieristico. «Se c’è un’emergenza è chiaro che si condivide tutto: in Lombardia molte nostre strutture sono diventate Covid-19, molti posti letto sono stati destinati ai pazienti affetti da Covid-19» sottolinea Barbara Cittadini.
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La Casa di Cura Poliambulanza di Brescia ha messo a disposizione «un Pronto Soccorso, 25 posti letto attrezzati per la terapia intensiva, e circa 60 posti letto riservati alle persone infettate in maniera meno grave. Ma la stessa cosa è stata fatta anche in Veneto dove abbiamo ben 5 ospedali, in Emilia Romagna e a Roma, dove l’Ospedale Israelitico ha offerto allo Spallanzani diversi posti per la terapia intensiva ed altri ne sta organizzando» aggiunge il presidente Bebber.
Le attività ordinarie rinviabili sono state procrastinate per riservare posti letto alle vittime della Covid-19. «Tutte le strutture – prosegue Bebber – mentre proseguono nella loro opera di ricovero e cura ordinaria, hanno già pronto un piano per rispondere a necessità più urgenti».
Ogni Regione gestisce il fenomeno a seconda delle esigenze che ha in termini di emergenza e anche i termini di posti letto. «Abbiamo comunicato quanti posti letto per terapia intensiva abbiamo e aspettiamo la richiesta delle regioni per renderci immediatamente operativi al servizio della comunità – afferma la Cittadini -, auspichiamo un ragionamento in termini di “sistema”; prevenire l’emergenza è sempre meglio che dover intervenire a emergenza esplosa. Per questo, speriamo di essere convocati per fare un piano nazionale condiviso, noi siamo la seconda gamba del SSN e come tale abbiamo il dovere non solo morale ma anche professionale di dare risposte puntuali» evidenzia. «Ci tengo solo a chiarire che nelle 21 regioni la mappa dei posti letto dissente ma questo dipende esclusivamente dalla programmazione regionale; molte regioni hanno ragionato in termini di “sistema” e hanno fatto una programmazione di coinvolgimento di tutte le componenti; altre, hanno ritenuto di essere autosufficienti nella componente di diritto pubblico e, di conseguenza, la componente privata ha a disposizione solo posti letto di terapia intensiva tecnici che abbiamo comunque messo a disposizione per pubblica utilità» precisa il presidente Cittadini.
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Entrambi, ribadiscono l’impegno totale dei medici delle strutture private in una situazione così difficile: «Molti medici del settore privato sono andati ad affiancare i medici delle strutture di diritto pubblico» conclude Barbara Cittadini. «Il supporto ai colleghi stremati del servizio pubblico è naturalmente totale – chiude Padre Virginio Bebber – e si realizza secondo i piani ordinati dal Ministero della Salute per un periodo, per ora, di 60 giorni. Siamo tutti pronti a prolungarlo in caso di ulteriore necessità. Non voglio parlare di “precettazione” in questo momento, sarebbe sconveniente ma soprattutto inutile visto lo spirito che anima il personale medico, e sanitario, soprattutto chi sceglie di lavorare in un’opera della Chiesa Italiana o comunque afferente ad una realtà religiosa».
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