La Presidente uscente del Sindacato Unitario dei Farmacisti Rurali non si è ricandidata. «Ho contratto il virus. Quando ho lasciato la mia casa e sono stata portata in ospedale con l’ambulanza, pensavo che non sarei tornata»
Silvia Pagliacci è stanca. Al terzo anno di presidenza del Sunifar (Sindacato Unitario dei Farmacisti rurali) e dopo essere sopravvissuta al Covid che l’ha costretta ad una settimana di ossigeno indotto e a tutte le conseguenze derivanti da un’infezione così devastante, vuole prendersi un po’ di tempo per rimettersi in sesto. «Non mi sono ricandidata, è stato un periodo molto particolare della mia vita. Ora come ora, non me la sento di ricominciare daccapo, quindi lascio». Almeno momentaneamente, però, visto che resta Presidente di Federfarma Perugia e poi chissà, fra tre anni potrebbe rimettersi in gioco.
Un triennio molto intenso e pieno di soddisfazioni, anche se, per una perfezionista come lei, qualsiasi vittoria non potrà mai essere abbastanza: «Ogni volta che faccio un bilancio, io che sono una meticolosa, non sono mai soddisfatta al 100%. Ho lavorato tanto, ho cercato di essere quanto più possibile incisiva e di dare il meglio per il bene delle farmacie rurali, partendo da quel poco che ho trovato. Ma non solo io ho fatto tanto, perché gli obiettivi si raggiungono insieme a chi ti ha sostenuto ed io credo molto al lavoro di squadra».
Tre anni in cui si sono avvicendati tre governi diversi con tre differenti Ministri della Salute con cui confrontarsi e a cui far capire l’importanza delle farmacie rurali nel tessuto sanitario italiano: «Ciò che mi dà più soddisfazione è che oggi delle farmacie rurali parla tutto il Paese. Quando sono arrivata nel maggio del 2017 sentii parlare un senatore della possibilità di togliere l’indennità di residenza perché, diceva lui, “le rurali non sono poi così povere”. Oggi tutti sanno cosa sono le farmacie rurali, quante sono in Italia, quali sono le difficoltà che devono affrontare. Anche in Parlamento, dove sono intervenuta più volte, adesso sanno tutte queste cose. Ciò mi gratifica e mi soddisfa notevolmente».
Aver fatto comprendere il valore di quel patrimonio italiano che è la farmacia rurale è la sua principale vittoria. «Sono un po’ meno soddisfatta dal punto di vista della difesa economica, malgrado per la prima volta dopo tanti anni al Sunifar sia stato tolto uno sconto sotto i 150mila euro di fatturato Ssn. Avrei poi voluto portare a casa più risultati sulla veterinaria, e questa sarebbe stata la missione nei prossimi tre anni».
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Un altro punto d’orgoglio per Silvia Pagliacci è il modo in cui le farmacie rurali hanno risposto all’emergenza Coronavirus. «Partiamo da un fatto: la mia farmacia non ha potuto chiudere malgrado io avessi contratto il Covid. Tutto il personale della farmacia è stato messo in quarantena, tranne il direttore che era asintomatico. Io mi sono trovata nella condizione di non poter chiudere perché eravamo l’unico presidio della zona di erogazione di servizio farmaceutico. Quindi quando si parla di pianta organica come di un privilegio del titolare, vorrei sottolineare che essa è in realtà una garanzia per i cittadini di trovare la farmacia in ogni piccolo centro abitato. Noi abbiamo una concessione dello Stato, per cui qualsiasi problema abbia il titolare, la sua famiglia, il personale della farmacia, non può chiudere perché si configurerebbe l’interruzione di pubblico servizio. In quelle settimane, ad esempio, gli ambulatori hanno potuto chiudere e i medici di medicina generale garantivano consulti solo telefonicamente. Noi non abbiamo né voluto né potuto chiudere. Anzi, spesso abbiamo dovuto prolungare l’orario di apertura perché le persone venivano non solo per il reperimento di farmaci e mascherine, ma anche perché non avevano idea di cosa stesse succedendo, quindi ci facevano tante domande e il farmacista doveva fornire tante rassicurazioni. Tutto questo, in aggiunta ai problemi che le rurali hanno da sempre. Insomma, è stato un periodo parecchio problematico ma devo dire che tutte le telefonate che ho ricevuto dai farmacisti rurali d’Italia sono state solo di cortesia in merito alla mia condizione di salute. Mai una telefonata di lamentela benché i colleghi stessero sacrificandosi tantissimo. E di questo sono orgogliosa e li ringrazio».
Un ruolo fondamentale le rurali l’hanno avuto inoltre, in questa emergenza, nell’aiutare le persone più anziane. «Avevano molta paura – prosegue –. Già solo il fatto di dover stampare le ricette diventava per loro un problema, che abbiamo risolto in farmacia. Non abbiamo mai interrotto il servizio di erogazione dei farmaci, così come non sono mancati mai i generi alimentari nei supermercati. È stata ringraziata tutta la filiera che garantiva l’approvvigionamento del cibo, si dovrebbe fare lo stesso per le farmacie. Anche da queste cose si dimostra l’insostituibilità del nostro lavoro, con o senza Covid».
E a proposito di Covid: «Ho avuto un esordio con dolori acuti durati tre giorni. Poi sono stata meglio ma è sopraggiunta la polmonite. Quando sono entrata in ospedale mi sono sentita ‘finalmente’ un malato, e in quanto tale bisognoso di cure, mentre prima, quando ero fuori, mi sentivo giudicata come untore. Il mio è stato uno dei primi casi di Coronavirus e vedevo i medici intorno a me che non sapevano dove mettere le mani. Si navigava a vista. Ho fatto studi scientifici ed ho una fede incrollabile nella scienza, per questo mi ha creato un’ansia pazzesca vedere che nessuno conosceva bene questo nemico. Quando ho lasciato la mia casa e sono stata portata in ospedale con l’ambulanza, pensavo di non tornare. Ho dovuto lasciare mia figlia a casa da sola in isolamento. Ricordo il personale che cercava di essere quanto più presente possibile e ho benedetto il fatto di essere italiana, di avere un Servizio sanitario come il nostro che tra l’altro in Umbria, dove vivo e sono stata ricoverata, ha risposto benissimo. I medici sono stati molto professionali, ma rimarcherei anche il ruolo dei farmacisti ospedalieri. Una categoria un po’ dimenticata che ha avuto però una funzione davvero fondamentale in questa emergenza».
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