L’analisi di Mauro Gnaccarini, Responsabile Ufficio Legale della Federazione Veterinari e Medici
«La discussione, esplosa nel mese di Aprile, intorno all’opportunità di una norma “scudo” nei confronti dei sanitari che si sono trovati costretti ad operare nelle Aziende sanitarie delle Regioni in condizioni eufemisticamente inadeguate e disagiate nel periodo emergenziale “Covid”, si è sopita nel momento in cui sono emerse la difficoltà in cui ci si trovava a muoversi, sotto diversi profili; dato anche il tentativo, invero rozzo, da parte di alcuni, di sfruttare la situazione per proporre inammissibili “colpi di spugna” che, salvaguardando tutti e in ogni modo, avrebbero avuto l’effetto di non garantire nessuno, specie sotto il profilo risarcitorio che, come si dirà, è sì ineludibile, ma non può essere posto in capo a chi in realtà ha pure subito danno. La problematica è così uscita dalla trattazione sia del D.L. 18/2020, e pure degli emendamenti portati in sede di conversione (L. 27/2017), sia dalla trattazione del recente D.L. 34/2020 (cd. “Decreto Rilancio”). Ma il problema, di tutta rilevanza, non può che tornare alla ribalta della discussione tecnico-politica, così come evidenziato ancora recentemente da alcuni commentatori, data la gravità di quanto accaduto».
Così in una nota Mauro Gnaccarini, Responsabile Ufficio Legale di FVM (Federazione Veterinari e Medici), che continua: «È di tutta evidenza che il problema riguarda, da un lato la platea dei beneficiari di quella che diverrebbe una legge speciale, dall’altro le condotte che potrebbero risultare “coperte dallo “scudo” normativo; giacché pare invece chiaro che i confini temporali entro i quali potrebbe collocarsi tale copertura non potrebbero essere altri che quelli dell’emergenza in questione, da quando la stessa è stata formalmente dichiarata con atto normativo (Delibera P.C.M. 31/1/2020) a quando, in via definitiva, risulterà parimenti dichiarata cessata».
«Federazione Veterinari e Medici – spiega Gnaccarini – ha formulato già in diverse sedi di confronto una propria disamina e correlata proposta, che si vuole perciò qui sinteticamente riportare, quale contributo ad una discussione che certamente dovrà, come detto e come riteniamo necessario, tornare tempestivamente alla ribalta. Quanto ai destinatari dello “scudo”, riteniamo che, considerata anche la tipologia di tutela, come di seguito proposta, essi debbano essere tutti gli esercenti le professioni sanitarie, di cui all’articolo 7 della Legge 24/2017, che abbiano lavorato per dette strutture a qualunque titolo, anche precario, di ogni genere. Ma non anche gli organi datoriali! Anche se, va detto subito, non si intende prospettare una caccia al datore di lavoro affinché “paghi in proprio”, né sotto il profilo penale né sotto quello amministrativo, responsabilità gestionali che, seppure rivelatesi gravissime, hanno paternità politico-gestionali multiple tra i decisori e gestori centrali e periferici della sanità pubblica. Quello che riterremmo “di giustizia” sarebbe inquadrabile nel certo risarcimento da parte delle strutture, degli enti e delle aziende, di quanto debba essere corrisposto a chi ha sofferto danni dipendenti dalla, appunto collettiva, “malagestio” del sistema, siano essi pazienti o utenti ma anche e indubbiamente i sanitari stessi e le loro famiglie».
«Nell’ottica summenzionata – spiega ancora Gnaccarini –, non parrebbe credibile, per ragioni innanzitutto di costituzionalità, un’ipotesi normativa che prevedesse di escludere la responsabilità dei sanitari sotto ogni profilo, penale, civile ed amministrativo-erariale, salvo solo che la condotta determinante il danno risultasse derivante da dolo. Infatti, quale che sia la condizione in cui si trova l’agente, non può essere del tutto escluso il risarcimento civilistico (art. 2045 Codice Civile). Ma, considerato anche quanto ampiamente e approfonditamente dedotto dalla Suprema Corte con una recentissima sentenza in tema di responsabilità medica (Cass. pen., Sez. IV, Sent. 18/5/2020 n. 15258 – ud. 11/2/2020; tema sul quale, unitamente a quello qui trattato, proporremo a breve un maggiore approfondimento dottrinario e giurisprudenziale sul sito FVM – https://fvm-nazionale.it), pare ben possibile, anzi opportuno, formulare una norma che limiti la perseguibilità del sanitario, chiaramente sotto tutti i tre profili dianzi citati, non già e non solo – come ovvio – ai casi di dolo, ma comprendendo tale perseguibilità anche nei casi di colpa grave; provvedendo però a delimitare assai tali casi, rispetto all’ordinaria disciplina, in ragione proprio della straordinarietà dell’emergenza e di quanto ne è conseguito. Ponendo altresì con estrema chiarezza tali limiti, in modo da evitare di ricadere in successivi ulteriori contrasti giurisprudenziali che, dato il tema, assumerebbero connotati di perniciosa diatriba».
«Orbene, pur dovendo qui fare estrema sintesi rispetto al notevole approfondimento posto sul tema nella sentenza citata, rileviamo perlomeno come i Giudici della nomofilachia ivi espongono che, dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di cui al D.L. 158/2012 (conv. L. 189/2012 – cd. legge Balduzzi) nella materia de qua, “la nuova formula normativa impone di ritenere che ci si trovi in presenza di una tripartizione non meramente retorica ed il rilievo, del tutto nuovo, che assume la qualificazione della condotta come imperita piuttosto che come negligente o imprudente, impegna il giudice a ricercare i tratti che segnano una diversità, nella assoluta consapevolezza che alla difficoltà sopra ricordata non può che seguire un estremo scrupolo nell’accertamento e nella motivazione”; e ricordano che “sul punto,… possono venire in rilievo, nel determinare la misura del rimprovero, sia le specifiche condizioni del soggetto agente ed il suo grado di specializzazione, sia la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato ad operare” ».
«Posto quanto precede, e quanto meglio e più estesamente argomentato dai Giudici nella richiamata sentenza e in altre di analoga portata, oltre che da considerevole dottrina, riteniamo allora: i) che la “norma scudo” debba riguardare tutti gli eventi avversi che si siano verificati o abbiano trovato causa durante l’emergenza (temporalmente definita come sopra) derivante da agenti virali trasmissibili, e in specie da SARS-CoV-2, o comunque derivanti dalle azioni sanitarie legate o correlate alla Covid-19; ii) che la perseguibilità in questione possa e debba essere limitata, sotto i profili sia penale, sia civile, si amministrativo-erariale, soltanto a taluni casi di colpa grave, vale a dire a situazioni colpose di “gravissima” configurazione, senza alterare tuttavia il lessico vigente. Tale limitazione troverebbe ampia giustificazione, oltre che nel rischio e nelle correlate conseguenze, inopinatamente patiti dai sanitari, sotto i profili sia biologico sia “esistenziale”, anche nell’avvenuta imposizione di protocolli non sempre verificati e validati, che da un lato hanno limitato la discrezionalità scientifica propria delle professioni mediche e sanitarie, dall’altro hanno determinato modalità operative che successivamente possono essersi verificate eventualmente inadeguate. Ciò premesso, riteniamo che in detta direzione possa e debba quindi andare una previsione normativa che escluda la perseguibilità per colpa nei casi di imperizia e imprudenza, tenuto conto pure e in specie delle succitate ed innegabili gravi lacune gestionali, nonché del carattere eterogeneo delle prestazioni cui i singoli operatori sono stati “obbligati” ad attendere in emergenza rispetto al loro livello di esperienza ed alla specializzazione conseguita. Sicché residui la perseguibilità per colpa nei soli casi legati a negligenza, e con la necessaria ulteriore precisazione che deve trattarsi di negligenza “inescusabile” in quanto macroscopica e ingiustificata rispetto ai principi basilari che regolano ciascun ruolo e comunque l’esercizio delle funzioni svolte. Ed anche il richiamo a tutte le funzioni generalmente svolte, ai sensi di legge, assume rilievo, poiché non è immaginabile che, nelle condizioni date, i sanitari dei diversi livelli, possano trovarsi a dover rispondere in relazione alle norme di tutela in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, che ben potrebbero essere utilizzate, anche strumentalmente, per chiamare a giudizio, in tutti i tre ambiti di responsabilità in esame, i sanitari stessi; che, al contrario riteniamo – conclude la nota –, e ribadiamo con forza, devono invece ed al più presto risultare opportunamente tutelati».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO