La vicenda dei camici bianchi che non hanno ricevuto il corretto trattamento economico per gli anni di scuola post-laurea è costata finora centinaia di milioni alle casse dello Stato. I Tribunali continuano ad emanare sentenze di condanna nei confronti della Presidenza del Consiglio. Ecco qual è la situazione alla luce delle pronunce più recenti
Negli ultimi anni sono state diverse le pronunce dei Tribunali italiani che hanno dato ragione ai medici specialisti che tra il 1993 e il 2006 non hanno ricevuto il corretto trattamento economico per il lavoro svolto nel corso della scuola post-laurea. Il quadro giurisprudenziale, tuttavia, non risulta al momento ancora stabilmente definito e consolidato. Ma com’è cambiata negli ultimi anni l’interpretazione generale che i giudici hanno dato alla questione? Ci aiuta a far luce Consulcesi, realtà di riferimento della classe medica in sede legale e, nello specifico, nella questione dei medici ex specializzandi.
«Recentemente – si può leggere in una nota – hanno avuto risonanza mediatica due sentenze della Corte di Cassazione che hanno rigettato la domanda di alcuni medici, le quali, tuttavia, non hanno affrontato tutte le questioni aperte dell’annosa questione.
La sentenza della Corte di Cassazione 4449/18 scaturisce da una causa incardinata per l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con l’Università, che tuttavia non è oggetto specifico della stragrande maggioranza del contenzioso in atto il quale si fonda sulla inadeguata attuazione delle direttive comunitarie e sulla disparità di trattamento. Nella successiva ordinanza – continuano da Consulcesi –, la n. 6355/18 della Corte Cassazione è stata invece affrontata solamente la questione dell’inadempimento dello stato italiano (in sostanza la Cassazione ha precisato che l’inadempimento è cessato con l’emanazione del D.lgs. 257/1991 e non riguardava le successive normative), senza entrare nel merito delle disparità di trattamento fra i medici che dopo il 93 hanno continuato a percepire la borsa di studio e quelli che dal a.a. 2006/2007 hanno avuto il contratto di formazione. Peraltro tale decisione e solamente la prima che affronta direttamente tale argomento, sicchè non si può sostenere che vi sia una consolidata interpretazione sulla questione dei medici specialisti 93-06. Del resto, proprio in tema di responsabilità dello Stato per mancata attuazione delle direttive comunitarie per le specializzazioni mediche anche in altre occasioni vi sono state pronunce contrastanti fra le diverse sezioni della Corte di Cassazione ed anche all’interno della medesima sezione, con richiesta di intervento interpretativo della CGUE».
In definitiva, secondo Consulcesi «la causa dei medici specialisti oggi è più che mai attuale e anche se il panorama giurisprudenziale non è costante e netto come quello di altre cause collettive bisogna agire per fare in modo che si affermi una giurisprudenza definitivamente favorevole. I risultati potrebbero non essere immediati, ma l’esperienza insegna che quando come in questo caso il diritto è concreto e legittimo, chi la dura la vince».
LA VICENDA
La vicenda dei medici specialisti dal 1993 al 2006 prende origine dalle normative approvate dalla comunità europea (direttive75/362/CEE 75/363/CEE 82/76/CEE) che prevedevano una serie di linee guida per la formazione dei medici volte ad uniformare la preparazione a livello europeo, nonché a stabilire la necessità di un’adeguata remunerazione per le prestazioni svolte. La nuova normativa avrebbe dovuto essere attuata a partire dal 1 gennaio 1983, ma l’Italia con estremo ritardo la rese operativa solo con il d.lgs. 257 del 1991. Dunque, solo a partire dalla data di entrata in vigore di tale decreto gli specializzandi iniziarono a percepire una borsa di studio di circa 11.000 euro l’anno, adempiendo agli obblighi di frequenza obbligatoria e di monte orario minimo.
Successivamente per rendere più organica la trattazione della materia veniva emanata la direttiva quadro 93/16/CE che sostituiva tutte le precedenti con lo scopo di riorganizzare la materia. L’Italia recepiva tale direttiva e le successive che l’avevano modificata (97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE, 99/46/CE) con il d.gls. 368/99. La nuova normativa cambiava sostanzialmente le condizioni dei medici specializzandi, e prevedeva contestualmente l’abrogazione del d.lgs. 257/1991. I medici durante il corso avrebbero dovuto essere inquadrati in uno specifico contratto di formazione-lavoro (poi solo formazione) da stipularsi con l’università e, pertanto, non avrebbero più preso solamente una borsa di studio, come era accaduto sino ad allora, ma una vera e propria remunerazione comprensiva di contributi assistenziali e previdenziali, nonché il riconoscimento dell’anzianità di carriera. Il compenso mensile avrebbe dovuto essere pari al 75% di quello ordinario previsto per il settore sanitario. Il Decreto legislativo 368/99 rimaneva però sospeso per quasi un decennio a causa della mancanza di fondi. Infatti, l’art. 46 infatti prevedeva che gli artt. 39 e 41 relativi alla copertura economica sarebbero entrati in vigore solo dopo l’approvazione di un’apposita normativa che autorizzava le risorse economiche. Con il successivo d.gls. 517/99 la sospensione dell’operatività degli artt. 39 e 41 veniva estesa anche agli artt. 37 e 42 bloccando così di fatto anche l’applicazione dei contratti di formazione.
Solo con la legge finanziaria del 2006 le norme sospese venivano sbloccate e dunque a partire dall’a.a. 2006/2007, con l’ulteriore recepimento della direttiva 05/36/CE (con la legge comunitaria 13 del 2007) che abrogava e sostituiva la 93/16/CE il quadro normativo era completo ed in linea con le richieste comunitarie. Pertanto dal 2007 dopo l’approvazione di tre ulteriori Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri in data 3 marzo, 6 luglio e 2 novembre l’Italia ha effettivamente recepito tutte le normative comunitarie in materia di specializzazioni mediche.
In virtù di quanto esposto è evidente che a carico dello stato Italiano ci sia innanzitutto una responsabilità derivante dall’inadempimento degli obblighi comunitari. Le linee guida indicate dalla comunità europea sono state attuate nel nostro paese con notevole ritardo e non nei confronti di tutti i destinatari. Inoltre, le inadempienze dello Stato hanno determinato un’evidente discriminazione a danno dei medici che dal 1993 in poi hanno percepito solo la borsa di studio da 11.000 euro, senza nemmeno la rivalutazione al tasso annuale di inflazione. Infatti, lo svolgimento del corso di specializzazione in termini di modalità e impegni era identico a quello di coloro che si sono immatricolati a partire dal 2006, ciò nonostante questi ultimi avevano avuto una remunerazione mensile di circa 26.000 euro e un contratto di formazione con tutti i vantaggi previdenziali e assistenziali connessi. Non si condividono le difese delle Amministrazioni secondo le quali le previsioni del d.lgs. 368/99 modificavano il precedente regime, ma non obbligavano a renderlo uniforme con effetto retroattivo poiché l’adempimento degli obblighi comunitari era già avvenuto con il d.lgs. 257/91.
Tenuto conto del principio dell’adeguatezza del compenso stabilito dalle direttive europee, nel caso di specie con gli articoli da 37 a 39 del D.Lgs. n. 368 del 1999, in espressa attuazione della Direttiva 93/16, lo Stato italiano ha stabilito proprio quella misura di compenso adeguato, la determinazione del quale gli era stata demandata dalla Direttiva. Dunque il corrispettivo ivi istituito rappresenta, inoppugnabilmente, la quantificazione monetaria proprio di quell’adeguatezza alla quale allude in modo incondizionato e sufficientemente preciso la Direttiva. Con la conseguenza che la Repubblica non poteva, da un lato rendere concretamente operante per gli specializzandi la previsione delle fonti europee in tema di diritto ad un compenso adeguato e, dall’altro, differire (esclusivamente per ragioni di compatibilità finanziaria, rese palesi dall’articolo 46 del menzionato D.Lgs. n. 368 del 1999) l’attribuzione del relativo trattamento.
In altri termini, non poteva lo Stato, il quale ha attuato e reso operante il precetto dell’adeguatezza del compenso, con la stessa legge, all’articolo 46, nonché con i successivi interventi rappresentati dal D.Lgs. n. 517 del 1999 e 266/2005, differire la corresponsione del compenso adeguato per proprie ragioni di compatibilità finanziaria (segnatamente, la capienza del fondo all’uopo destinato, istituito dall’articolo 6, comma 2, della L. 29 dicembre 1990, n. 428).