«Tra i rischi per il personale anche quello di essere coinvolti in azioni collettive di responsabilità contro le strutture sanitarie. Il consiglio è di formalizzare il dissenso con richiamo alle norme di legge applicabili e poi “andare al fronte”»
Il sacrificio di medici, infermieri e operatori sanitari nel corso della prima ondata è stato enorme ed è stato riconosciuto da tutti. Questi professionisti, spremuti da turni massacranti, ferie negate, elevato rischio di contrarre il Covid a causa della mancanza dei Dispositivi di Protezione Individuale e quant’altro, ora si ritrovano più o meno nelle stesse condizioni di marzo e aprile. Anche oggi, infatti, per molti di loro andare al lavoro significa assumersi grandissime responsabilità, spesso e volentieri senza essere messi in condizione di dare il 100 per cento. E ciò accade per diversi motivi.
«Ci arrivano diverse segnalazioni – spiega l’avvocato Marco Croce, della rete di Consulcesi & Partners – di professionisti che sono stati spostati in reparti che non sono di loro competenza. Questo è un fatto molto grave. Era stata annunciata l’estensione dell’organico delle strutture sanitarie e invece oggi ci troviamo nella condizione in cui medici e infermieri vengono sottratti alle strutture in cui lavorano, dove magari si occupavano di questioni anche molto importanti, come l’oncologia o l’emergenza, per essere destinati ai reparti Covid. È evidente che tutto il sistema sanitario è sotto stress ma in questo modo deragliamo rispetto all’appropriatezza delle cure. Tutto ciò era anche comprensibile nel corso della prima ondata, ma ora lo è molto di meno. Per non parlare del fatto che si inizia a prospettarne addirittura una terza fra qualche mese».
Il problema non riguarda solo il piano professionale ma, ovviamente, anche quello della salute dei pazienti: «In questo momento – spiega ancora l’avvocato Croce – si sta dando priorità ai malati di Covid e si stanno mettendo in secondo piano tutte le altre patologie. Alcune prestazioni non vengono più erogate e si fa molta meno prevenzione. In proiezione, dunque, si rischia un aumento del numero di morti per patologie “classiche”».
Un altro fenomeno sta emergendo in queste settimane e riguarda il riposo, le turnazioni e le ferie dei professionisti sanitari: «Non dare al professionista la possibilità di riposarsi adeguatamente crea un logoramento psico-fisico che, alla lunga, può favorire gli errori. Anche il discorso delle ferie si inserisce in questo contesto: fluidificarle o diluirle non è di per sé una decisione allarmante, a patto che il tutto venga gestito con equilibrio. È comprensibile – spiega Croce – che in momenti emergenziali la questione delle ferie possa essere gestita in maniera diversa dal normale, ma l’assenza totale del riposo del personale che a volte ne è stato privato anche durante i mesi estivi significa ritrovarsi sanitari stanchi, meno sereni e purtroppo anche meno motivati».
Quali rischi comporta una situazione del genere sia per il professionista che per il paziente? «Ci troviamo in una situazione esplosiva – spiega il legale della rete Consulcesi & Partners – e chi non è in regola con la programmazione, e parlo anche di Regioni molto prestigiose, ne paga le conseguenze. Se è giusto che vengano aggiunti, a quelli già esistenti, dei reparti Covid per trattare i pazienti che hanno contratto il virus, dall’altro lato non è accettabile che lo si faccia a spese di reparti fondamentali per il nostro Ssn. È evidente che, in una situazione del genere, a pagare siano i cittadini che hanno bisogno di cure. Tra i rischi per il personale possiamo segnalare quello di essere coinvolti in azioni collettive di responsabilità contro le strutture sanitarie. Per questo il mio consiglio è di formalizzare il dissenso con richiamo alle norme di legge applicabili e poi “andare al fronte”».
In che modo si può formalizzare questo dissenso? «Scrivendo, se possibile affiancati da un legale e magari insieme ad altri colleghi nella stessa situazione, che sebbene il professionista si dirigerà nella struttura in cui deve lavorare, è a rimarcare le varie criticità della situazione e vuole esserne manlevato. In questo modo, il professionista segnala che, se dipendesse da lui, non andrebbe a svolgere quelle prestazioni in quelle condizioni, ma che comunque non intende interrompere l’erogazione dei servizi così come organizzati dalla struttura».
Come se ne esce da questa situazione? «L’unica strada percorribile – spiega Croce – è quella di un’alleanza generazionale tra sanitari “pensionandi” e sanitari “arruolandi”: bisogna evitare alcuni pensionamenti e, contemporaneamente, assumere giovani risorse da affiancare al personale in ruolo. Invece, ogni giorno mi ritrovo a trattare casi di medici che vengono forzatamente pensionati anche se vogliono continuare a lavorare per fronteggiare l’emergenza. In conclusione – termina l’avvocato Croce –, io non sono nella posizione per criticare nessuno. Non è il mio compito. Posso solo dire che, con l’emergenza, ci si sta allontanando sempre di più dallo schema legale. E questo è un problema non solo per i medici, ma per tutti».
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