Per migliorare il legame tra istruzione e sanità: integrare le attività didattiche con incontri tra diversi professionisti sanitari e gli studenti
«La pandemia ha avuto impatti significativi anche sulla formazione dei nostri bambini e ragazzi, precludendogli per lunghi mesi la possibilità di frequentare le strutture scolastiche e universitarie», a parlare è la FNO TSRM-PSTRP (Federazione nazionale degli Ordini dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle Professioni sanitarie tecniche). «In previsione dell’inizio dell’anno scolastico – continua – nelle ultime settimane il tema della riapertura sicura delle scuole è stato una condivisibile priorità. Malgrado le oggettive difficoltà, il Governo e i Ministeri competenti hanno consentito la ripresa delle lezioni, che culminerà fra pochi giorni riportando più di 8 milioni di bambini e ragazzi nelle aule del nostro Paese. Tra le iniziative meno eclatanti ma di grande utilità, non solo sanitaria, la garanzia di una mascherina chirurgica al giorno per alunno, affinché il loro approvvigionamento non debba essere a carico delle famiglie e non possa in alcun modo configurarsi come elemento che crea distinzioni tra gli studenti».
«Istruzione e Sanità sono due pilastri portanti del nostro Stato sociale; la pandemia ha reso evidente la necessità di potenziarli, migliorandone l’integrazione. Proprio per garantire la ripresa in sicurezza delle attività scolastiche, durante i mesi estivi si sono succedute una serie di proposte, a nostro giudizio tutte prive dell’ingrediente indispensabile a renderle pienamente efficaci: la prospettiva inter-professionale, senza la quale nessun intervento sanitario può soddisfare bisogni complessi, compresi quelli espressi dalla scuola», spiega la Federazione.
«Riteniamo, pertanto, utile riproporre un suggerimento molto caro alla nostra Federazione: progettare insieme, tenendo in considerazione tutti, con lo sguardo rivolto oltre l’emergenza. Il tema della sicurezza sanitaria nella scuola non deve essere limitato alle necessità dettate dall’attuale situazione; le soluzioni adottate dovranno essere tali da poter fronteggiare l’immediato e, al tempo stesso, prevedere ciò di cui gli studenti avranno bisogno quando l’emergenza sarà terminata».
«Alla luce di queste premesse è evidente che l’Infermiere o il Medico scolastico non possano essere considerati la soluzione, come non potrebbe esserla qualsivoglia altra figura si proponga o venga pensata in tal modo. Sia il primo che il secondo sono una parte della soluzione, certamente utili, ma non sufficienti, perché non è possibile ricondurre la gestione della complessità dei bisogni sanitari a una o poche professioni, nemmeno in ambito scolastico. Per contro, le professioni sanitarie non possono essere pensate come gruppi di soggetti la cui specializzazione è determinabile attraverso l’aggiunta di aggettivi qualificativi alle loro denominazioni di partenza», il suggerimento.
«Le professioni sanitarie si fondano e giustificano sulle competenze che possiedono e che mettono a disposizione del sistema; competenze acquisibili frequentando con profitto appositi percorsi formativi universitari, di base e post-base, e facendo esperienza diretta nella pratica clinica. È proprio sulle competenze che si deve ragionare e investire, anche quando la sanità si interseca con l’istruzione, superando l’impostazione a comparti stagni che obbliga gli individui a suddividere la gestione dei loro bisogni in funzione di un’organizzazione a silos che, in questo caso, vede l’istruzione da una parte e la sanità dall’altra».
«Relativamente al versante sanitario, nelle scuole serve il contributo dei Pediatri, ma anche dei Medici, ma anche degli Infermieri, ma anche degli Assistenti sanitari, ma anche dei Tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, ma anche dei Dietisti, ma anche degli Ortottisti, ma anche dei Logopedisti, ma anche degli Igienisti dentali, ma anche degli Educatori professionali, etc…; serve ogni professione, per quel che le è proprio e per quel che è in grado di garantire a favore di una gestione inter-professionale della salute dei nostri bambini e ragazzi. Ciò non significa che gli istituti scolastici debbano diventare dei presidi sanitari, bensì che devono poter contare sul contributo delle professioni sanitarie, in una logica orizzontale, funzionale, inter-compartimentale (istruzione-sanità)».
«Infatti, territorializzare la sanità significa anche renderla agevolmente disponibile nei luoghi della formazione, per ciò che è gestibile in quei contesti, soprattutto in termini di prevenzione, e nelle forme in cui sarà ritenuto responsabile e possibile farlo. A esempio, si potrebbero integrare stabilmente le attività didattiche con incontri tra i diversi professionisti sanitari e gli studenti, al doppio fine di, da una parte, formare cittadini più consapevoli e responsabili nei confronti della loro salute e del Sistema sanitario e, dall’altra, fornire dei riferimenti fisici qualificati a cui i bambini e i ragazzi potrebbero agevolmente rivolgersi in caso di domande, dubbi o necessità di carattere sanitario».
«Confidando nella sensibilità che caratterizza i Ministri dell’Istruzione e della Salute – conclude – auspichiamo che anche su questo delicatissimo tema, di fondamentale importanza per la nostra Società, odierna e futura, si riesca a trasformare l’emergenza pandemica in opportunità, adottando provvedimenti atti a garantire alla scuola l’apporto di tutte le competenze professionali necessarie a tutelare la salute degli studenti».
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