L’iniziativa promossa dall’Osservatorio Internazionale della Salute (OIS) vede in prima linea il medico diventato famoso nel mondo dopo il film “Fuocoammare”: «Fondamentale un approccio prima umano e poi sanitario, ma i medici vanno formati al meglio»
«Un mio obiettivo: la formazione dei medici e di coloro che si approcciano all’emergenza». Lo dichiara Pietro Bartolo, il medico lampedusiano coinvolto nel progetto Sanità di Frontiera che guida la formazione dei medici nelle zone colpite dall’emergenza immigrazione. Il progetto, presentato al Ministero della Salute, con il supporto di Consulcesi Onlus, si propone di adottare un sistema sanitario globale che possa essere il punto di partenza per operare in quei territori messi a dura prova dagli sbarchi. Primo concreto risultato sarà l’attivazione di corsi di formazione ECM per tutti i medici, italiani e stranieri.
«Serve più competenza – prosegue Bartolo – ma soprattutto quello a cui io tengo tantissimo è l’approccio prima umano e poi sanitario. Queste persone hanno bisogno prima di tutto di conforto umano. Le realtà da cui arrivano sono atroci e quando sbarcano a Lampedusa il nostro compito deve essere quello di fargli capire che sono arrivati in un paese amico. Questo siamo noi, amici». «lo sono orgoglioso di essere lampedusiano – conclude – ma soprattutto italiano. Lampedusa è Italia e noi siamo da sempre campioni del mondo di accoglienza e di solidarietà».
Ma com’è nata Sanità di Frontiera? Il responsabile scientifico del progetto, Giuseppe Petrella, Ordinario di Chirurgia all’Università Tor Vergata ci racconta che l’iniziativa è una costola di un grande Osservatorio Internazionale della Salute dove «ci sono i più grandi esperti e scienziati a livello non solo italiano ma a livello europeo e dove si cerca di monitorare tutto quello che succede nel mondo della sanità».
Sull’emergenza immigrazione si esprime anche il presidente del Senato Pietro Grasso: «Ogni giorno sentiamo di sbarchi, morti, dispersi, un conteggio che non finisce mai, però dobbiamo riuscire ad andare al di là dei numeri e dei dati, dobbiamo calarci in questa realtà di storie, di persone e di fatti. Mi è capitato di assistere a qualche sbarco, ho notato che nei visi di questi migranti era evidente la fatica, la disperazione, ma anche una luce di speranza. Di questo dobbiamo tenerne conto, sia come istituzioni che come persone».