La coordinatrice regionale del settore formazione per il Sindacato dei Medici Italiani: «C’è una disparità retributiva contributiva e previdenziale importante. L’unica soluzione è coniugare la programmazione e l’alto standard formativo di entrambi i percorsi che devono diventare uno solo»
Procedere a una nuova programmazione, creare un percorso formativo unico per specializzandi e medici di medicina generale, favorire l’ingresso nel mondo del lavoro ai neolaureati evitando di richiamare i medici in pensione. Questa la posizione del Sindacato dei medici italiani veicolata da Delia Epifani, Coordinatrice regionale del settore formazione per lo Smi Puglia e intervistata in occasione degli Stati Generali del giovane medico.
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Abbiamo assistito ad una giornata di confronto e dibattito sul ruolo del giovane medico: quali sono le criticità che riscontrate in maniera maggiore e le soluzioni che sono state proposte e condivise?
«La criticità più importante, che è sotto gli occhi di tutti, è la totale assenza di programmazione che c’è stata nel corso degli ultimi anni. A nostro parere, la prima cosa da cui ripartire è proprio questa. Assistiamo alla costituzione di laureati che ogni anno non sanno se avranno un futuro formativo. Il secondo punto su cui ragionare è, secondo noi, quello di unificare i due percorsi formativi con la creazione di un iter unico che inglobi sia le scuole di specializzazione che il corso di medicina generale in modo da eliminare le disparità e migliorare la qualità. Mi riferisco soprattutto alla scuola di medicina generale che attualmente è quella un po’ più carente a livello formativo. In aggiunta, sappiamo benissimo che c’è una disparità retributiva importante e contributiva perché abbiamo sistemi previdenziali diversi, veniamo tassati in maniera diversa. L’unica soluzione a nostro parere è coniugare la programmazione e l’alto standard formativo di entrambi i percorsi che devono diventare uno solo».
Questa differenza retributiva e contributiva pesa ancora molto e influenza la vostra carriera. Come valuti la possibilità di fare un ricorso per azzerare queste differenze?
«Per azzerare le differenze si deve iniziare dal percorso formativo. È verissimo il fatto che non si può fondare una famiglia nella stessa maniera se prendi 1600 euro al mese o se ne prendi 900. E molto diverso ovviamente. Si è parlato di eliminazione delle incompatibilità per i ricorsisti, ma questa non è una soluzione, è solo un palliativo. Ripeto, andrebbero equiparate partendo da un’equiparazione formativa».
Per quando riguarda gli anni di formazione: quali sono le altre difficoltà che incontra uno specializzando, ad esempio i turni massacranti: questo incide non solo sulla vita personale dello specializzando ma anche sulla sicurezza del paziente?
«Assolutamente sì; lo specializzando è un medico in formazione, ma tante volte viene visto come colui che deve sopperire alle carenze dell’ospedale. Questo ovviamente va ad impattare sulla qualità di vita del medico, sul suo burnout e influisce anche sulle prestazioni e sul paziente, cosa che non può essere accettabile in un sistema che deve garantirne la salute.
Un’ultima domanda: cosa pensi dell’apertura dei concorsi agli specializzandi dell’ultimo anno o a reintegrare i pensionati per sopperire alla carenza di medici che oggi esiste nel nostro paese?
«Scindiamo le due cose: per gli specializzandi è una nota positiva, favorisce l’ingresso nel mondo del lavoro prima possibile a patto che non vengano utilizzati come forza lavoro a basso prezzo. Al contrario, sui pensionati che vengono richiamati, ritorniamo sul discorso del burnout. Il pensionato è un medico che ha già avuto una carriera, è arrivato stanco alla fine di questa, forse nell’ottica di preservare il bene dei pazienti sarebbe opportuno puntare sui giovani e un po’ meno sul riutilizzo di risorse che sono state portate allo stremo».