L’intervista a tutto tondo a Sanità Informazione: «Formazione ECM uno stimolo ogni giorno. Investire sul personale medico e infermieristico, riprogrammare le risorse per la sanità territoriale. Bisogna considerare la sanità come un investimento e non come un costo in termini di salute dei cittadini»
L’obbligo di formazione Ecm per i sanitari è certamente un dovere previsto dalla legge. Ma anche «una disposizione dell’animo ad avere interesse per l’evoluzione della materia scientifica». Né è certo Giovanni Leoni, vicepresidente Fnomceo, anche in vista dell’’ulteriore stretta contenuta nel Decreto attuativo del Pnrr. A partire dal 2023-2025, infatti, l’efficacia della polizza assicurativa per la responsabilità civile sarà subordinata all’assolvimento di almeno il 70% dei crediti previsti nell’ultimo triennio. Il presidente dell’Ordine dei medici dei Venezia, alle nostre telecamere, ha tracciato una serie di criticità da affrontare al più presto. Dalla carenza medici alle borse di specializzazione, passando per medicina generale, PNRR e sanità territoriale.
«La formazione è permanente per quanto riguarda l’evoluzione del medico. Non è solo un obbligo ECM, è una disposizione dell’animo ad avere interesse per l’evoluzione della materia scientifica che cambia continuamente. La prima responsabilità è quella verso il paziente lo dice il codice deontologico ma anche la legge dello stato italiano. È chiaro che la formazione deve essere costantemente aggiornata alle conoscenze perché le leggi si sono modificate in questo ultimo periodo».
«Si è stato trasformato in un obbligo. Nei prossimi anni sarà obbligatoria la formazione con 50 crediti da fare ogni anno. Naturalmente bisognerà perfezionare il tipo di attività formative. Devono essere divise tra la formazione specialistica e quella di tipo generale che interessa il medico in senso lato del termine, per quanto riguarda la sua evoluzione. È chiaro che è uno stimolo perché l’evoluzione della conoscenza non si limita ai 50 punti di ECM all’anno ma è una formazione che viene ogni giorno sia attraverso la formazione personale che la partecipazione a eventi e convegni».
«Naturalmente i medici hanno anche dei diritti. Il diritto al riposo dopo i turni di lavoro. Il diritto di avere una gravidanza istituita e questo non viene sempre verificato. C’è un’evoluzione al femminile della professione sanitaria. Sotto i 65 anni il 52% dei colleghi sono donne che hanno bisogno di un ritmo di lavoro che preveda una turnistica adeguata, un’alternanza, per poter badare ai figli e alla famiglia. Il numero dei medici è adeguato se sono adeguatamente specializzati. 10mila medici laureati l’anno, portati a 11-12mila, possono essere sicuramente l’evoluzione del turn over per quanto riguarda i pensionamenti. Però abbiamo un ritardo, perché per quasi 15 anni abbiamo avuto metà dei laureati che non si specializzavano. Adesso, con il ministro Speranza negli ultimi due anni c’è stato un importante recupero con 14 mila borse l’anno scorso e 17 mila quest’anno. L’obiettivo è recuperare quasi 15mila camici grigi che erano lì senza l’evoluzione naturale della carriera, la specializzazione o il corso formazione in MMG. Nei prossimi anni dovremmo ancora combattere con situazioni come le cooperative che sono sempre più diffuse a livello nazionale. Impiegano medici non laureati attraverso percorsi amministrativi differenti al posto di coloro che invece per accedere ai posti di dipendente a tempo indeterminato devono essere specializzati. Stessa cosa per quanto riguarda la medicina generale: il futuro è accoppiato a quello che sarà il PNRR e la costruzione delle case della salute».
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«Naturalmente, i grandi investimenti di tipo immobiliare e strutturale devono essere compensati da quelli sul personale medico e infermieristico per poter far funzionare tutte queste strutture. Perché poi alla fine al netto delle tecnologie e delle apparecchiature la sanità è sempre un rapporto tra persone. E ci deve essere un’interfaccia umana nei confronti dei pazienti che nella stragrande maggioranza sono anziani pluripatologici, hanno problemi di ricoveri ripetuti e molte volte si scompensano. Devono avere la possibilità di andare in ospedale ma anche di avere strutture protette vicine alla loro dimensione familiare. Vanno seguiti in maniera corretta perché improvvisamente perdono autosufficienza e devono provare a recuperarla».
«Il potenziamento della sanità territoriale deve essere comunque proporzionale a quella che è l’efficienza dell’ospedale, nel senso che sono stati tagliati tanti posti letto a livello ospedaliero. L’ospedale al momento ha sopperito alle carenze sul territorio, naturalmente l’Italia ha una dimensione molto variegata e differenziata. Ci sono delle regioni che hanno già un’importante valutazione degli ospedali, altre che dove queste strutture non sono più adeguate agli standard sulla sicurezza. Il PNRR ti dà la possibilità di farne di nuove o di riadattare quelle più vecchie sotto canoni di nuova efficienza. E dobbiamo essere in grado anche di portare a termine negli anni previsti questo tipo di attività perché altrimenti i finanziamenti ci vengono tagliati. L’Europa ci controlla nella progressione dei lavori. Per il momento ci siamo anche se a vari livelli. Naturalmente quando sento parlare che dai risparmi dell’attività ospedaliera ci saranno le risorse per fare attività sul territorio mi preoccupo un po’. Con il ministro Speranza siamo passati da 114 miliardi a 124 miliardi. C’è un aumento di circa due miliardi all’anno per il prossimo periodo. C’è da programmare le risorse per mantenere tutto il personale che serve per questo tipo di nuova attività più vicina al cittadino sul territorio. Ricorso solo una cosa che le medicine integrate, l’aggregazione di MMG ha avuto una partenza che è stata falciata dai costi eccessivi per la Corte dei conti almeno in Veneto. Bisogna considerare la sanità come un investimento e non come un costo in termini di salute dei cittadini.
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