Il membro del direttivo dell’Associazione italiana malati di cancro ha chiesto al ministro della Salute di favorire i test genetici per scovare il gene ‘jolie’ BRCA1 e BRCA2. «Il percorso terapeutico deve essere quanto più definito e personalizzato sul malato, con test genetici che mi dicono cosa funziona su di me e cosa non funziona» sottolinea Traclò
Test genetici, cure personalizzate e più formazione per i medici. Sono alcune delle richieste che Aimac, l’Associazione italiana malati di cancro, ha presentato al ministro della Salute Giulia Grillo durante la maratona Patto per la Salute. Richieste puntuali per migliorare, ad esempio, la qualità di vita delle donne colpite dal cancro e per favorire la prevenzione: su questo punto è importante per Aimac favorire i test genetici, ad esempio per scovare il famoso ‘gene Jolie’ (BRCA1 e BRCA2 mutato) che permette di avere una diagnosi precoce. In secondo luogo, la necessità di avere medici formati, considerando che la ricerca sul cancro procede velocissima: Francesca Traclò, del direttivo di Aimac, chiede che ci sia un meccanismo attraverso cui i medici abbiano un aggiornamento continuo sulle maggiori evidenze: «Il modello di medicina basato solo su aggiornamenti periodici è un modello che non funziona più. Se non hai la possibilità e non sei capace di consultare periodicamente PubMed e di condividere con la comunità scientifica quello che sta succedendo, è probabile che non puoi dare le migliori cure».
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Nel patto della salute cosa non può mancare dal vostro punto di vista?
«Intanto che ci sia un’attenzione alle donne mutate BRCA1 e BRCA2. Questo tipo di mutazione ci permette di avere una prognosi migliore perché permette di prevedere il tumore, tant’è che ci sono due soluzioni possibili: la prima soluzione è mantenere sotto controllo il soggetto per cercare di avere una diagnosi precoce; la seconda soluzione, con una prognosi ottima del 90-95% di non insorgenza della malattia, è quella dell’intervento chirurgico preventivo».
È il famoso gene Jolie?
«Sì. Ma quello che ci preme sottolineare è che i tumori che insorgono nelle persone ‘geneticamente mutate’, chiamiamole così, in particolare riguardano la popolazione più giovane, cioè donne sotto i 50 anni. Ragione per cui è particolarmente rilevante garantire una buona qualità della vita a queste persone. Poi un altro aspetto per noi rilevantissimo è che la medicina sta andando sempre di più verso cure personalizzate: ciò significa fare tutta una serie di test genetici e su quei test genetici definire le terapie. Uno studio online dell’Agenas mette in evidenza come in alcuni casi la terapia ormonale sia anche più efficace della terapia ormonale congiunta alla chemioterapia e lei capisce che per una donna giovane non sottoporsi a chemioterapia significa migliorare molto la qualità della vita».
A proposito di medicina personalizzata, è importante avere dei medici aggiornati professionalmente. Voi riscontrate che i medici siano abbastanza aggiornati?
«No. Il modello della medicina personalizzata pone all’attenzione due questioni principali: la prima è quella di riprogettare l’esperienza terapeutica con delle strategie di collaborazione all’interno degli ospedali a oggi inesistenti. Invece di poter avere un percorso terapeutico in cui tutti si coordinano tra di loro per ottenere il miglior risultato per il malato, questo deve combinare i diversi pezzi con problemi di asimmetrie informative, di stress psicologico. Nella medicina personalizzata, è inevitabile che debba essere così. Il percorso terapeutico deve essere quanto più definito e personalizzato sul malato, con test genetici che mi dicono cosa funziona su di me e cosa non funziona. Il secondo aspetto rilevante è che la ricerca va avanti velocissimamente. Il che significa che il modello di medicina basato solo su aggiornamenti periodici è un modello che non funziona più. Se non hai la possibilità e non sei capace di consultare periodicamente PubMed (ndr motore di ricerca gratuito di letteratura scientifica) e di condividere con la comunità scientifica quello che sta succedendo è probabile che non puoi dare le migliori cure. Questo incide sul modello organizzativo dell’ospedale: non è che il primario chiede che un medico stia tutti i giorni su PubMed, però che ci sia un meccanismo attraverso cui i medici abbiano un aggiornamento continuo sulle maggiori evidenze è necessario».
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Sulla formazione continua ci sarebbe un obbligo di legge…
«Non sempre viene rispettato. Tanto è vero che questo tema dei test genetici è un tema particolarmente delicato. Adesso hanno sviluppato una biopsia liquida, è in fase di sperimentazione, c’è una evidenza scientifica significativa. La biopsia liquida per i malati metastatici è un toccasana perché invece di metterti sotto una PET con un esame del sangue tu verifichi anche con largo anticipo se ci sono delle cellule metastatiche in giro. Non tutti gli ospedali la praticano, ci sono alcuni trial clinici, però quello che noi chiediamo al ministero è che su questo si faccia un rapido aggiornamento. Io poi sono un’economista e trovo inaccettabile che per problematiche organizzative o per problematiche di formazione al comportamento, perché non è solo un problema di conoscenza ma anche dell’incapacità di attuare delle strategie cooperative fra i medici, poi ci debbano rimettere i malati e le casse dello Stato».