«Il futuro è arrivato e vogliamo affrontarlo al meglio, progresso significa evadere dall’autoreferenzialità e misurare l’assistenza sanitaria in funzione degli outcome» così il Commissario nominato alla guida del presidio ospedaliero capitolino
«Innovazione, ricerca e formazione rivoluzionaria» queste secondo il Commissario straordinario Joseph Polimeni, le medaglie appuntate alla giacca del Policlinico Umberto I di Roma. A pochi mesi dalla nomina, la nuova guida dell’azienda ospedaliera capitolina, traccia un bilancio del passato, del presente e del futuro dell’assistenza sanitaria italiana, europea e mondiale in un’intervista a tutto campo per Sanità Informazione.
Direttore, quali sono le sfide che intende affrontare in questo fine 2017 e in previsione del nuovo anno che sta per arrivare?
«Sono stato nominato qualche mese fa Commissario Straordinario, ho nominato a mia volta il Direttore Sanitario, Franco Caracciolo, professionista serio ed affidabile di cui ho ottima stima. Insieme lavoreremo nelle prossime settimana e nei prossimi mesi per iniziare o portare a termine tutti gli adempimenti da mettere in campo».
Cronicità e invecchiamento sono tra i problemi più gravosi da cui è fiaccato il SSN, qual è il suo punto di vista per quanto riguarda il presidio ospedaliero? È auspicabile una visione ospedale-centrica oppure credere in una rete di assistenza territoriale sempre più forte?
«Ritengo che l’ospedale debba fare l’ospedale, soprattutto nel nostro caso, quando si tratta di una grande azienda ospedaliera universitaria che è votata all’alta specialità, all’innovazione clinica professionale e organizzativa. È chiaro che l’Umberto I è un hub molto importante che tiene le fila di una serie di reti fondamentali per il funzionamento generale; mi riferisco alla Rete IMA (Infarto Miocardico Acuto), alla rete Stroke (Ictus), al politrauma, tutti rami di un unicum indispensabile per il cittadino. Tuttavia l’assistenza a livello regionale, poi territoriale, andrebbe incrementata, andrebbero sviluppati tutti quei presidi e quelle organizzazioni, prestazioni, attività che in qualche modo accompagnano l’attività dell’azienda ospedaliera in modo tale da ‘alleggerirla’ di alcune fatiche per darle modo di concentrarsi su prestazioni di media e alta specialità. Questo concetto riassume quello che in primo luogo il significato del Policlinico: per dirlo in gergo anglosassone ‘a teaching hospital’ cioè un ospedale votato all’insegnamento che vuole fare della didattica, della ricerca e dell’assistenza il fiore all’occhiello».
Quali sono le eccellenze del Policlinico più evidenti e quali invece le criticità che lei intende risolvere?
«Io credo che il Policlinico debba assolutamente perseguire la sua vocazione di azienda ospedaliera universitaria. Inoltre questa è la culla di farmaci innovativi, la culla del progresso con due unità operative di oncologia, chirurgia robotica, chirurgia mininvasiva, a breve le prossime nomine per i direttori di direzione, insomma questo è un settore molto importante su cui investire. Dobbiamo accompagnare questo investimento in risorse umane, in competenze e in professionalità, anche con incrementi sotto il versante strutturale e anche organizzativo. Dunque il nostro lavoro procede in due direzioni: da una parte cercare di potenziare e responsabilizzare tutto il personale, oramai la sanità è fatta anche da personale infermieristico, tecnico, amministrativo, una fetta molto importante. Dall’altra sostenere e valorizzare le competenze medico-specialistiche che sono quelle che caratterizzano i tratti essenziali dell’azienda».
Lei ha parlato di innovazione: in Italia il sistema sanitario è ottimale ma purtroppo afflitto anche da una sostenibilità critica. Quale potrebbe essere una politica che assembli abbattimento costi a qualità del servizio assistenziale?
«Per molti anni noi ci siamo concentrati sui nostri processi, sui nostri percorsi, il che è comunque importante per ottimizzare il nostro cammino, tuttavia ritengo sia una visione sin troppo autoreferenziale: infatti guardando i nostri percorsi, analizzando i nostri processi, guardiamo solo noi stessi invece la sfida del futuro è cercare di guardare gli outcome, gli esiti, quello che riusciamo ad ottenere concretamente per i pazienti. Quindi in questo rapporto tra outcome e costi, andranno perseguiti e privilegiati quegli interventi che hanno un rapporto migliore e competitivo. Si tratta di una sfida che penetra nell’organizzazione, il futuro sarà quello di andare a misurare e targhettizzare sempre di più l’assistenza sanitaria in funzione degli outcome che poi è quello che interessa i cittadini, indipendentemente da quando il nostro percorso sia più o meno ottimizzato».
In un Policlinico universitario che fa della formazione la sua forza, quanto è importante una formazione che va anche oltre l’università, quanto è importante la formazione di un personale sanitario più anziano, più maturo?
«È importantissimo, noi siamo un’azienda ospedaliera universitaria, siamo un ex Policlinico a gestione diretta e qui la didattica, la ricerca e l’assistenza si compenetrano in un unicum che deve essere perseguito con forza. Dalla nostra parte possiamo vantare tantissimi corsi di specializzazione, specialisti in formazione, tutta la partita delle professioni sanitarie oggi molti importanti, infermieri, tecnici di riabilitazione e laboratorio. L’assistenza deve essere un completamento assolutamente della didattica e della ricerca in ogni fase della carriera professionale. In quest’ottica, il Policlinico chiede all’università una programmazione congiunta in modo tale che le priorità delle strutturazioni che vengono proposte siano in qualche modo anche compatibili con le nostre necessità».