«Nessun bambino sordo deve diventare un sordo adulto». Nella Giornata Mondiale dedicata ai disturbi uditivi il dottor Giuseppe Attanasio, Specialista in Otorinolaringoiatria e Fisiopatologia della Comunicazione Audio-Verbale, ci spiega le ipoacusie più frequenti e quali terapie sono consigliabili. Fra tutti i disturbi un ruolo di primaria importanza lo ricopre l’acufene, di cui ne soffre una persona su dieci
Solitudine, poca produttività sul lavoro e difficoltà nell’interazione sociale, sono tra le principali conseguenze determinate dai disturbi uditivi. La spesa in Italia riferita all’ipoacusia supera 21 miliardi di euro l’anno mentre in Europa arriva fino a 178 miliardi. Il 3 marzo si è festeggiata la Giornata Mondiale dell’Udito celebrata dal Ministero della Salute insieme all’Associazione Nonno Ascoltami, con la campagna di promozione Dica #33 indetta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (GUARDA LA GALLERY).
A proposito di disturbi dell’udito, lasciamo la parola all’esperto, il dottor Giuseppe Attanasio, Specialista in Otorinolaringoiatria e Fisiopatologia Comunicazione Audio-Verbale.
«Ipoacusia vuol dire diminuzione dell’udito – spiega il dottor Attanasio – e presenta diversi gradi: lieve (diminuzione fino a 40 decibel), medio (40-60 decibel), grave (60-90 decibel) fino al grado profondo (oltre 90 decibel) in cui non c’è più alcuna risposta a impulsi sonori. Dal tipo di ipoacusia dipende il trattamento: per quella lieve in genere viene attuata una strategia di attesa per vedere come evolve, ma man mano che il paziente peggiora, la strategia diviene di tipo riabilitativo-protesica, quindi si suggerisce al paziente l’uso di protesi. Questo però deve essere sempre preceduto da una diagnosi approfondita, la prima cosa è capire di che tipo di ipoacusia si tratta, quindi la diagnosi è centrale».
Ma quante persone in media soffrono di ipoacusia?
«Le statistiche danno come numero l’1,3% di ogni 1000 nati. Di questi, il 27% soffre di ipoacusia grave e profonda. Ma la cosa più importante è che 1 su 1000 nati è sordo profondo. In genere in Italia sono 200-250 sordi profondi nati ogni anno, ma si tratta di una categoria a parte: il sordo profondo ha necessità assoluta di essere rapidamente diagnosticato. Infatti un neonato che non sente, avrà difficoltà non solo nella comprensione ma anche nell’acquisizione del linguaggio. Ecco perché si fanno screening molto accurati sui nuovi nati. Quando c’è una diagnosi confermata di sordità profonda, dopo il compimento del primo anno, il bambino può essere sottoposto a un inserimento di impianto ‘cocleare’, una delle strategie più importanti, si tratta di un intervento chirurgico, dell’inserimento di un impianto inserito nella coclea, la parte interna neuro-sensoriale dell’orecchio. Questo intervento aiuta a superare la difficoltà della conduzione dello stimolo acustico e fa le veci dell’orecchio. Infatti, negli ambienti scientifici, questo dispositivo viene chiamato ‘orecchio bionico’, ma si tratta di un apparecchio computerizzato che riporta a una funzione pressoché normale. Dunque, se viene fatta una veloce diagnosi e avviata una terapia chirurgica, nessun bambino sordo sarà un sordo adulto».
Nel corso degli anni, con l’evolversi della società, sono peggiorati i disturbi uditivi a causa delle abitudini o anche degli ambienti in cui viviamo?
«Per alcuni versi sì, sono lievemente cresciute le percentuali di persone che soffrono di ipoacusie per l’esposizione ai traumi acustici, ai rumori traumatici. Mi riferisco soprattutto alle fasce di popolazione più giovani, infatti dispositivi come cuffie, musica ascoltata ad alto volume, concerti, discoteche, contribuiscono ad aggravare questi problemi. In realtà, devo dire che in passato gran parte delle ipoacusie nell’udito erano sordità di tipo professionale, causate dall’esposizione di lavoratori a rischio in industrie siderurgiche, edili, meccaniche. Fortunatamente questo problema devo dire che negli ultimi decenni con la nuova legislazione si è particolarmente ridotto. In ogni caso, le sordità professionali, pur essendo un capitolo importante delle ipoacusie nell’adulto, se vengono seguite bene con dispositivi di protezione individuale, con la legge sul rischio uditivo, rispetto a 30 anni fa, sono diminuite notevolmente. Di contro, è in aumento la popolazione giovanile che ha una lieve perdita di udito dovuta soprattutto a traumi occasionali, concerti, stadio, frequentazione di locali rumorosi».
Quanto influiscono i problemi uditivi sulla sfera psicologica e di conseguenza nell’interazione sociale?
«Il sistema uditivo non trasmette il suono solo al cervello ma questo suono viene poi elaborato anche dalla testa. Di conseguenza si attivano meccanismi emozionali. Infatti il sistema uditivo è collegato anche al sistema emozionale e questo è uno dei motivi per cui alcuni suoni provocano un fastidio o anche dei sintomi associati che sono particolarmente fastidiosi, primo fra tutti l’acufene».
Cosa è l’acufene?
«L’acufene è un segnale acustico che il paziente riferisce di percepire ma che in realtà non è legato a nessuna fonte sonora esterna. L’origine del problema può dipendere da molti fattori, rumori, farmaci, infezioni. Questo sintomo fastidioso diviene particolarmente amplificato dalla risposta emozionale. Infatti ci sono persone che hanno l’acufene da sempre e dicono di non sentire particolare fastidio e di riuscire a gestirlo senza problemi, altre persone lo recepiscono insopportabile, il problema non è nell’intensità dell’acufene ma di come questo segnale viene elaborato».
Il problema dell’acufene può essere trattato fino a una risoluzione completa?
«Assolutamente sì, alcuni pazienti, purtroppo non sono tantissimi, possono risolverlo del tutto. Certo sono maggiori i casi in cui purtroppo l’acufene ritorna anche se gestibile. E’ importante capire che l’acufene non è una malattia ma un sintomo, quindi il paziente non guarisce dall’acufene ma lo deve rimuovere, il che è ben diverso. Per rimuoverlo ci vuole un meccanismo lento di riabilitazione insieme a un cervello equilibrato e strategie comportamentali corrette».