«Contrastare l’imbuto formativo aumentando le borse – medicina generale e specializzazione – recuperare quelle perse negli anni e modificare il decreto Fedeli per l’abilitazione all’esercizio della professione medico-chirurgica». Queste le indicazioni del presidente dell’Associazione liberi specializzandi
Il percorso formativo e lavorativo di un giovane medico italiano è pieno di ostacoli. Sono tante le questioni che continuano a essere denunciate dai protagonisti attraverso le associazioni, i sindacati maggiormente rappresentativi del mondo medico. Dall’abilitazione al numero chiuso, passando per l’imbuto formativo fino alla questione degli accreditamenti delle scuole di specializzazione. Ai microfoni di Sanità Informazione, Massimo Minerva, Presidente dell’Associazione liberi specializzandi, esprime le sue perplessità sul malfunzionamento del sistema e prova a delineare le possibile soluzioni.
Dottore, lei ha parlato delle quattro grandi problematiche che affliggono la professione medica e soprattutto i giovani medici oggi. Quali sono?
«La più urgente è quella dell’abilitazione: il decreto Fedeli ha introdotto nuove regole per l’abilitazione alla professione medica ma, in realtà, ha reso più difficile l’abilitazione. A luglio ci sarà la nuova abilitazione di laureati in medicina e ancora non è ben chiaro che tipo di esame è richiesto. Il secondo problema importante e che necessita di una gestione a lungo termine, è l’ingresso a Medicina: è certamente utile una riflessione anche sul numero chiuso, ma il dibattito sembra più di tipo elettoralistico che finalizzato alla risoluzione dei problemi. L’altra questione preoccupante è relativa all’imbuto formativo; faccio il paragone della doppia porta delle gioiellerie o delle banche: ce n’è una esterna che permette di entrare nel limbo e una interna che permette di entrare nel mondo della formazione. Ci sono barriere per chiudere la seconda ma discutiamo sempre della prima, di come inserire altra gente in un luogo che attualmente occupa dalle 7 alle 10 mila persone. Infine, quello degli accreditamenti. Il decreto 402/2017 stabilisce i criteri, c’è un obbligo di legge; io ho dimostrato che gli standard non sono rispettati. Abbiamo scuole di ginecologia che non hanno le sale parto o scuole sprovviste di pronto soccorso».
Quali sono le soluzioni che voi come associazione avete individuato per far fronte a queste difficoltà?
«Bisogna finanziare di più la formazione dei medici laureati in medicina per entrare o in specializzazione o in medicina generale. Inoltre, c’è un altro aspetto da valutare: semplicemente confrontando le graduatorie di diversi anni ci siamo resi conto del numero delle borse perse. Dal 2017 ad oggi sono andate perse circa 900 borse. Il valore economico è circa 90 milioni. Questi soldi non vengono riutilizzati nel sistema. Per quanto riguarda l’accesso a medicina, spetta al Governo studiare la programmazione e le esigenze, non se ne possono occupare solo le associazioni e i sindacati, noi possiamo solo dare qualche suggerimento. Non sono d’accordo con il richiamare i pensionati ma capisco che oggi paghiamo lo scotto degli errori che sono stati fatti negli anni. Dove lavoro non troviamo specialisti: radiologi, anestetisti, pediatri. Secondo me va ripristinato il metodo precedente al D.M. del 9 maggio 2018 che, a causa dei ritardi nell’iter burocratico, potrebbe compromettere la possibilità dei colleghi di abilitarsi in tempi utili. E un medico senza abilitazione non può fare niente. Per concludere, le soluzioni sono: ripristinare le borse perse, modificare il decreto Fedeli e aprire la formazione ai medici. Noi facciamo fatica a trovare medici ma io conosco tante persone che vogliono fare gli anestetisti e non riescono, non ci sono abbastanza borse».
Sua figlia è una specializzanda: quali sono le maggiori criticità che lei sta incontrando nella sua formazione?
«Il numero di specializzandi che c’è nella sua università: è un po’ eccessivo rispetto alle capacità formative».