ESCLUSIVA | Intervista di Sanità Informazione al Professor Weinberg di Phoenix (Arizona) che spiega in che modo le aspettative dei pazienti (e dei medici) possono essere influenzate dai medical drama…
La vita non è un film. La vita in ospedale non è un medical drama. Ciò che può sembrare ovvio a chi vive tutti i giorni in corsia, di fatto non è scontato per i pazienti. Uno studio pubblicato sulla rivista statunitense “Trauma Surgery & Acute Care Open” rivela infatti che le serie TV come l’amatissima Grey’s Anatomy contribuiscono a dar vita ad aspettative irrealistiche non solo sulla guarigione di lesioni gravi e sul rischio di morte ad esse legato, ma anche sulle capacità dei medici di individuare e curare rapidamente e senza conseguenze un’ampia serie di patologie. Gli studiosi hanno paragonato le storie cliniche di 290 pazienti comparsi in 269 episodi di Grey’s Anatomy con i traumi subiti da 4812 pazienti veri registrati nella banca dati nazionale Usa Trauma 2012. Dal confronto è emerso un disallineamento importante tra reale e fittizio per quanto riguarda il tasso di mortalità (superiore in Grey’s Anatomy, cosa che probabilmente non stupirà i fan), il passaggio diretto dal pronto soccorso alla sala operatoria, la lunghezza dei ricoveri e il trasferimento dei sopravvissuti ai traumi in strutture di assistenza.
Sanità Informazione ha contattato uno degli autori della ricerca, il Professor Jordan A. Weinberg di Phoenix (Arizona), per approfondire non solo alcuni aspetti dello studio, ma anche per confrontare la vera vita che si conduce in un ospedale americano con quella raccontata dalla serie TV, in cui si svolgono le vicende dei beniamini di milioni di spettatori di tutto il mondo.
Professor Weinberg, ci descrive brevemente il metodo che avete utilizzato e i risultati ottenuti in questa ricerca?
«Buona parte dei dati pubblicati nella ricerca derivano dai registri degli ospedali, delle regioni o dai database nazionali sui pazienti che hanno subito traumi. Abbiamo pensato che sarebbe stato interessante creare un registro simile che rappresentasse i pazienti delle fiction che vediamo in televisione. Abbiamo quindi identificato tutti i traumi subiti dai pazienti di Grey’s Anatomy e li abbiamo inseriti in un registro; poi abbiamo paragonato i dati dei pazienti dei registri veri con quelli inseriti nel nostro “registro della TV”. Come sospettavamo, è risultato che i pazienti della TV tendono a guarire e a tornare a casa più velocemente rispetto alla “vita reale”, in cui i ricoveri in ospedale sono più lunghi e seguiti molto più spesso da periodi di convalescenza da passare in altre strutture assistenziali».
Come mai avete deciso di analizzare proprio la serie Grey’s Anatomy?
«Avevamo già visto degli episodi di Grey’s Anatomy e sapevamo che spesso il ricovero di pazienti con gravi lesioni viene raccontato di episodio in episodio. Visto che questo tipo di pazienti è molto comune nella serie, e inoltre gli episodi sono veramente tanti, abbiamo pensato che Grey’s Anatomy ci avrebbe permesso di “studiare” un numero relativamente grande di pazienti fittizi».
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Che cosa vi ha spinto a iniziare questo studio?
«Ero ad un conferenza sul grado di soddisfazione dei pazienti e sulle loro aspettative, e mentre ascoltavo mi è venuto in mente che i pazienti traumatizzati, che non hanno la possibilità di prepararsi in alcun modo alla loro esperienza in ospedale, basano gran parte delle loro aspettative su quello che hanno visto in televisione. Sapevo che alcuni confronti tra l’assistenza sanitaria ritratta in televisione e quella reale fossero già stati fatti, ma non ero al corrente di studi specifici nell’ambito delle lesioni traumatiche, che è la mia area di specializzazione».
Nella sua esperienza di chirurgo, ha mai incontrato personalmente un paziente che si aspettava altro dal suo ricovero in ospedale a causa di programmi televisivi?
«È buffo che mi chieda proprio questo, perché una delle mie specializzande proprio pochi giorni fa mi ha rivelato che i risultati della ricerca confermano la sua esperienza personale con i pazienti traumatizzati. Molto recentemente ha infatti avuto dei pazienti che le hanno confessato quanto l’esperienza che stavano avendo fosse lontana da quello che avevano visto in televisione e che si aspettavano».
Ma secondo lei perché si crede a quello che si vede nei medical drama? E pensa che anche i medici che seguono queste serie possano in qualche modo esserne influenzati?
«Penso che sia i pazienti che i medici siano influenzati da quello che vedono in televisione, se sono assidui spettatori di queste serie. Anche se siamo ovviamente tutti consapevoli che quella che guardiamo è finzione, programmi come Grey’s Anatomy ritraggono situazioni molto realistiche; è quindi normale che la descrizione degli eventi e personaggi che propone dia subdolamente vita al nostro immaginario su come si comportino i medici o cosa possa accadere dopo una particolare lesione».
È possibile che le aspettative irrealistiche che si creano riguardino non solo il processo di guarigione ma anche, ad esempio, le competenze dei medici?
«Dobbiamo ancora identificare in che modo le aspettative di un paziente possano essere influenzate o meno dalla visione di programmi simili a Grey’s Anatomy. Sappiamo da altri studi, tuttavia, che chi guarda Grey’s Anatomy ha sviluppato la convinzione che i medici siano coraggiosi e questo li ha portati a stimare di più e ad essere più soddisfatti dei propri dottori veri. È inoltre emerso un dato interessante: chi guarda Grey’s Anatomy potrebbe sviluppare un’opinione relativamente negativa della donazione degli organi».
Per concludere, la vita di relazione all’interno di un ospedale è molto diversa da quella raccontata nelle serie TV?
«Sfortunatamente, per quanto riguarda la mia esperienza, la vita sociale nei veri ospedali degli Stati Uniti è assolutamente molto meno interessante o divertente di quella che si vede in televisione».
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