Il Segretario Generale di Federsanità ANCI spiega ai nostri microfoni come e perché le patologie di oggi (e le loro cure) sono molto diverse da quelle di qualche decennio fa: «Necessario combinare esigenze scientifiche, ovvero le evoluzioni della medicina, con quelle più politiche, legate cioè all’organizzazione della risposta assistenziale»
Le esigenze sanitarie dei pazienti cambiano. Negli ultimi decenni diverse patologie sono state debellate (o fanno molti meno danni) e la vita media si è allungata, determinando un cambiamento enorme nel tipo di servizio che il sistema salute mondiale è chiamato a fornire nei confronti della popolazione dell’intero globo. Parte determinante nella transizione verso questo nuovo tipo di pazienti è la formazione, sia quella universitaria che quella continua, legata all’aggiornamento professionale. Ne abbiamo parlato con Lucio Alessio D’Ubaldo, Segretario Generale di Federsanità ANCI.
Segretario D’Ubaldo, siamo qui al workshop organizzato da Federsanità ANCI sui cambiamenti delle esigenze della popolazione a livello sanitario. Cosa ne esce da questo lavoro e dagli interventi dei relatori?
«Dal punto di vista della salute, le esigenze della popolazione cambiano perché, fortunatamente, cambia la medicina, che si personalizza nella cura e diventa più efficiente e mirata. Al tempo stesso, questo porta ad un mutamento della concezione dell’intervento: se una volta il processo di cura si concentrava nell’ambito dell’ospedale, oggi tende a diluirsi in una fascia temporale più lunga. Dopo la cura primaria, che si svolge in ospedale quando si manifesta il fenomeno, è necessario infatti un nuovo e maggiore supporto assistenziale. Per fare tutto ciò è quindi necessario combinare le esigenze scientifiche, e quindi le evoluzioni della medicina, con quelle più politiche, legate cioè all’organizzazione della risposta assistenziale, per fare in modo che il territorio sia capace di accogliere la persona che starà sempre meno in ospedale e sempre più in strutture territoriali solo collegate all’ospedale».
In questo cambiamento, come deve evolversi la formazione del personale, sia a livello universitario che di aggiornamento continuo?
«L’Italia vanta, rispetto ad altre zone del mondo, una capacità molto elevata di formare medici e personale paramedico. In questo rappresentiamo un’eccellenza. Dunque, come deve cambiare la formazione? Un seminario come questo, senz’altro da sviluppare e rafforzare, dovrebbe aiutare anche a far capire che le università o gli istituti di ricerca devono tener conto del fatto che i processi di innovazione che la medicina gestisce modificano anche la sensibilità, le esigenze e i bisogni della popolazione assistita. La formazione è un ponte tra queste due esigenze, e ha quindi bisogno di una costante manutenzione: la formazione che vale oggi non varrà domani né dopo domani e siamo quindi destinati a gestirne il mutamento».