Lavoro e Professioni 28 Aprile 2020 11:00

I pediatri di famiglia chiedono chiarezza a Regione Lombardia. Missaglia (SiMPeF): «Inaccettabile ipotesi di farci diventare dipendenti del SSR»

La replica di Monti (Presidente commissione Sanità): «Nessun cambiamento giuridico ma collaborazione e gioco di squadra. Tamponi e DPI di competenza del governo centrale. Regione Lombardia ha sopperito dove lo Stato è mancato»

di Federica Bosco

I pediatri di famiglia chiedono chiarezza e un confronto a Regione Lombardia. Motivo della querelle una frase riportata nella risoluzione del Consiglio Regionale dei giorni scorsi da loro interpretata come un tentativo di ricondurli, insieme ai medici di famiglia, quali dipendenti del sistema sanitario regionale. Un’ipotesi ritenuta inaccettabile dal segretario del Sindacato Medici Pediatri di Famiglia Rinaldo Missaglia: «Quella frase, che in qualche modo sottintende che i medici di famiglia e i pediatri non hanno un controllo del territorio e che potrebbe esserci un miglioramento del livello di cure semplicemente cambiando il loro ruolo giuridico, trasformandoli in dipendenti, ci sembra del tutto ingenerosa per l’impegno che mettiamo nel lavoro – ammette Missaglia, risentito -. E ci siamo arrabbiati al punto di pensare che se le indicazioni che ci sono state date in questa situazione emergenziale, da un lato difformi, dall’altro inefficaci e qualche volta pericolose per la salute, rappresentano il modello che si vuole in futuro per gestire la sanità pubblica sul territorio, allora certamente i pediatri di famiglia faranno opposizione assoluta. In più ci dispiace per il metodo utilizzato: prima siamo stati sentiti in un’audizione, dove abbiamo contribuito con delle indicazioni di tipo sanitario su come riprendere dopo questa fase, poi non siamo stati per nulla recepiti e l’unica risoluzione è stata ‘così i pediatri di famiglia non possono lavorare’».

Tra le richieste avanzate, non recepite da Regione Lombardia, il segretario di SiMPeF ricorda la necessità di avere dispositivi di protezione individuale per svolgere la professione in sicurezza: «Peccato che queste linee guida siano state imposte, oltre che dall’etica professionale, anche dalle direttive dell’ATS, dove c’era riportato un elenco di dotazioni che avrebbero dovuto fornirci attraverso i loro uffici e che mai sono stati consegnati in toto. Le mascherine sono arrivate in numero inferiore a quanto stabilito, mentre invece per quanto riguarda camici, visiere e occhiali non abbiamo ricevuto nulla».

LEGGI ANCHE: LOMBARDIA, LO SFOGO DEI MEDICI DI MEDICINA GENERALE: «CI DICEVANO CHE IL TAMPONE NON SERVIVA. COSI SIAMO DIVENTATI VETTORI DEL VIRUS»

Pronta la replica di Regione Lombardia nella voce del presidente della Commissione Sanità, Emanuele Monti, che auspica collaborazione e dialogo tra le parti: «La direzione che ha intrapreso il Consiglio regionale lombardo in un futuro post-Covid è di rilanciare la figura della medicina del territorio. I medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta sono un grande valore che abbiamo in Italia e in Lombardia, un unicum a livello internazionale, e questo unicum deve essere tutelato e potenziato. C’è stato un misunderstanding nel concetto di risoluzione del Consiglio regionale nel vedere i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta come dipendenti del sistema sanitario pubblico. Questo messaggio, che si è inserito nella risoluzione proposta da alcune parti politiche che compongono il Consiglio regionale, voleva invece sottolineare la volontà di stringere ancora di più una collaborazione forte con il sistema della medicina del territorio. Da questo punto di vista io sono molto positivo e ottimista. Noi dobbiamo uscire da questa esperienza tragica del coronavirus potenziando il territorio e portando a termine la legge 23 del 2015».

E per tamponi e mascherine, Monti respinge le accuse e passa la “palla” al governo centrale: «È lo Stato con la Protezione Civile che doveva rifornire i tamponi e permettere di avere i reagenti, discutendo con l’Europa, visto che l’80% dei reagenti è prodotto in Germania che ha bloccato l’esportazione. Qui è mancato lo Stato e il governo. La regione ha fatto quello che poteva e l’ha fatto anche bene, dando oltre 13mila mascherine a tutti i lombardi, distribuendo camici e calzari e facendo tamponi. Ricordo che siamo la prima regione per numero di tamponi eseguiti in Italia, dopodiché chi è mancato è a Roma. Ecco, io invito tutti i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta ad unirsi a noi in una voce molto forte verso Roma, perché il rischio è che la realtà venga distorta, quasi che la colpa fosse di Regione Lombardia, che invece si è rimbocca le maniche ed è riuscita a sopperire dove lo Stato è mancato».

 

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