Facciamo chiarezza sulla definizione degli “atti invasivi”
Sono un cardiologo ambulatoriale ed ho stipulato alcuni anni fa una polizza di responsabilità civile professionale. La mia polizza esclude la copertura degli “atti invasivi” definiti come quegli atti che comportano la cruentazione dei tessuti. Solo qualche tempo fa mi sono reso conto che questa esclusione poteva mettere in forse la effettiva garanzia riguardo alcuni interventi che fanno parte routinaria della mia attività (per esempio: l’applicazione di un pace maker ovvero una angioplastica). Ho chiesto quindi al mio Assicuratore un chiarimento più approfondito circa il termine “Atto invasivo”. La risposta è stata sconfortante in quanto l’Assicuratore si è limitato a ribadire la definizione prevista in polizza. Le chiedo un suggerimento circa il modo per avere un’idea chiara circa la efficacia della mia polizza.
Molti assicuratori, al fine di contenere il costo delle polizze, hanno inteso creare una categoria di mezzo tra la mera attività diagnostica/terapeutica di carattere prettamente farmacologico e quella di natura chirurgica. Altri invece hanno circoscritto la limitazione degli atti invasivi alla sola attività diagnostica assimilando in una unica tipologia terapeutica (comprensiva degli atti invasivi) l’attività chirurgica. Questa ultima soluzione ha creato una ulteriore area di incertezza; si pensi a quando un’attività diagnostica si tramuta nel corso della sua esecuzione in attività terapeutica (vedi l’esempio della Gastroscopia).
Insomma l’intento di circoscrivere e delimitare in maniera chiara il rischio coperto non ha prodotto il risultato atteso creando nuovi motivi di conflitto tra assicurato ed assicuratore. La caratteristica della “cruentazione dei tessuti” infatti nella pratica non è risultata un valido parametro. Ad esempio: quale differenza c’è – in base a questo parametro – tra una puntura endovenosa ed una puntura lombare? In termini di cruentazione non c’è differenza Eppure molti Assicuratori considerano atto invasivo solo la seconda tipologia e non la prima; sembra quindi che all’elemento oggettivo della “cruentazione” l’Assicuratore abbia aggiunto un secondo fattore meramente soggettivo: la unilaterale valutazione circa la pericolosità dell’intervento.
Esiste quindi solo una soluzione al problema: identificare la effettiva attività svolta dal medico/assicurato e quindi dichiararla in maniera analitica nella proposta di polizza, quel documento che è parte integrante della polizza stessa. Ogni specialista conosce bene tutte le attività diagnostiche e terapeutiche che svolge. E’ suo dovere ed interesse rappresentarle all’assicuratore e quindi ottenere una copertura adeguata, anche a rischio di pagare un premio più elevato.
Le suggerisco quindi di attivarsi in questo modo, anche in corso di contratto, richiedendo all’Assicuratore il completo allineamento della polizza alle attività che dichiarerà in maniera analitica ed incontrovertibile.
Ennio Profeta – consulente SanitAssicura