In Commissione Sanità audizione di Nicola Draoli, Consigliere della Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche: «Stimiamo ne servano almeno 20mila. Evitare conflitti con altre professioni». Poi spiega: «Nel Ddl sembra quasi che l’infermiere di famiglia sia quell’infermiere che già adesso sta facendo assistenza domiciliare. Invece si tratta di una figura nuova»
«Bisognerebbe rivoluzionare il sistema e investire sul territorio. Per questo speriamo che il Ddl sull’infermiere di famiglia diventi legge al più presto». Nicola Draoli, Consigliere del Comitato Centrale della FNOPI e Presidente dell’Ordine degli Infermieri di Grosseto, ha portato il punto di vista dell’Ordine sul Ddl ad hoc in esame dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato.
Draoli ha portato all’attenzione dei senatori i primi dati delle sperimentazioni avviate in Italia: per ora ce ne sono in Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia, mentre in Lombardia manca ancora l’attuazione di un provvedimento analogo. I dati sono molto incoraggianti: la figura dell’infermiere di famiglia ha portato a una riduzione del 20% degli accessi per codici bianchi in Pronto soccorso e a un meno 10% dei tassi di ospedalizzazione con uno sgravio anche per i medici di famiglia e un aumento degli accessi domiciliari. La figura, prevista dal Patto per la Salute siglato a dicembre, ha ora bisogno di essere normata: «La formalizzazione della figura è fondamentale. Altrimenti si rischia che ogni regione faccia da se», spiega Draoli a Sanità Informazione.
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L’infermiere di famiglia e di comunità, come la FNOPI vorrebbe fosse chiamato, per ora esiste solo in realtà medio-piccole. In Friuli Venezia Giulia c’è la sperimentazione più antica, con un bacino di riferimento di circa tremila persone. Qui, come nelle altre realtà interessate, la soddisfazione dei cittadini-utenti è stata massima secondo le indagini realizzate.
«Bisogna allargare il metodo alle metropoli ed evitare conflitti con le altre professioni», spiega Draoli che poi traccia l’identikit della nuova figura: «Potranno essere infermieri dipendenti ma nulla vieta di pensare a una collaborazione con liberi professionisti a partita iva». La figura di riferimento sarà quella del Medico di Medicina generale: dovrà essere una figura capillare, presente nelle grandi città come nelle aree interne.
«Nel Ddl sembra quasi che l’infermiere di famiglia sia quell’infermiere che già adesso sta facendo assistenza domiciliare. Invece si tratta di una figura nuova, dovrà fare una serie di interventi prima che insorga il bisogno», spiega ancora Draoli. A livello territoriale non ci sarà un problema di ‘convivenza’ con il medico di base. «Potrebbe integrarsi perfettamente nel ‘microteam’ sollecitato a più riprese dal Segretario FIMMG Silvestro Scotti», precisa il rappresentante FNOPI.
Secondo le stime della FNOPI, la stima degli infermieri di famiglia e comunità potrebbero potrebbe aggirarsi sulle 20mila unità. Un numero importante, che pone degli interrogativi sulla sostenibilità economica della misura. Anche su questo la FNOPI ha la sua ricetta: «Basta semplicemente ragionare su una appropriatezza diversa – continua Draoli -. Bisogna cominciare a trasferire risorse o a non investire sulla professione infermieristica dove non serve. Ad esempio, basta investire sulla professione infermieristica quando di fatto diventa un mero ausiliario».
I vantaggi dell’introduzione di questa misura possono essere molteplici. Uno l’ha ricordato il senatore Gaspare Antonio Marinello dei Cinque Stelle, che durante l’audizione ha sottolineato come questa figura potrebbe favorire la domiciliarizzazione dell’assistenza evitando ricoveri ospedalieri e, indirettamente, anche le temibili infezioni ospedaliere, con ricadute positive su costi della sanità e salute della popolazione.
Resta il nodo della formazione. Per ora la FNOPI pensa a un master professionalizzante, ma in futuro l’obiettivo è creare una laurea magistrale ad hoc. Su questo punto la capogruppo del Pd in Commissione Igiene e Sanità Paola Boldrini è pronta a depositare una norma ad hoc.
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