La presidente della Federazione Nazionale delle Professioni Infermieristiche al compleanno del Sistema Sanitario Nazionale: «Siamo cresciuti insieme, ma adesso dobbiamo ragionare su bisogno di territorialità, domiciliarità e prossimità»
Ci sono 40 candeline sulla torta del Sistema Sanitario Nazionale. A soffiarle, tutti i protagonisti della sanità italiana, riuniti per l’occasione al Grand Hotel Plaza di Roma. Ognuno ha portato con sé il proprio bagaglio di esperienze, di proposte, di richieste, di dubbi e paure per il futuro. Ognuno ha guardato al ruolo ricoperto dalla propria categoria nei 40 anni passati, auspicando miglioramenti e progressi dell’intero Sistema per i 40 anni che verranno. Tra questi, anche gli infermieri, il 40% (numero ricorrente) del capitale umano del SSN, rappresentati da Barbara Mangiacavalli, presidente della FNOPI (Federazione Nazionale delle Professioni Infermieristiche).
Presidente Mangiacavalli, si festeggiano i 40 anni del Sistema Sanitario Nazionale. Se dovesse fare una sintesi di quella che è stata la funzione dell’infermiere in questi 40 anni, quale sarebbe?
«Gli infermieri hanno accompagnato sin dalla nascita questo Servizio Sanitario Nazionale, con cui sono quindi cresciuti. Cresciuti in termini numerici, di formazione, di competenza, di visibilità e di contributo ai risultati di salute del nostro Paese. La nostra sanità, tra mille difficoltà, continua a confermarsi ai primi posti mondiali, e questo non è un caso, ma il risultato del lavoro di tutte le professioni che sono dentro al SSN. Abbiamo scelto un Sistema Sanitario universalistico, in cui gli infermieri credono e intendono continuare a lavorare, affinché possa rispondere in maniera sempre più coerente ai bisogni dei cittadini, che sono profondamente mutati. E poi rappresentiamo l’ossatura del SSN, perché gli infermieri ne sono il 40% del capitale umano. Siamo presenti in tutti i livelli, nella clinica e nell’assistenza, ma anche ai livelli organizzativi e gestionali che sono sempre più rilevanti. Sono risultati, questi, che da soli testimoniano quanto gli infermieri siano cresciuti e abbiano fatto crescere il Servizio Sanitario Nazionale».
Lei parla di ossatura, ma pensa che l’infermiere debba avere un ruolo ancor più centrale nei confronti delle istituzioni, della politica ma anche dell’opinione pubblica?
«Indubbiamente sì, anche perché gli infermieri in questi ultimi 20 anni sono stati capaci di interrogarsi e di rivedersi profondamente. Il ruolo che avevano gli infermieri quando è nato il SSN non è il ruolo che hanno oggi, e ancora non hanno il ruolo che potrebbero avere, perché la potenzialità degli infermieri è enorme per il nostro sistema salute e per i nostri cittadini. Ormai da 20 anni abbiamo infermieri laureati e che seguono percorsi formativi universitari sempre più importanti e strutturati. Anche per questo occorrerebbe rivedere il mix di competenze per fare in modo che il cittadino abbia sempre medici, infermieri e altri professionisti eccellenti nel prendersi cura e prendersi in carico i suoi bisogni. Bisogni che, tra l’altro, sono sempre più complessi e quindi difficili da connotare rispetto ad un’unica professione».
Quale sarà il futuro dell’infermiere?
«L’infermiere accompagnerà il futuro del SSN e i bisogni di salute dei cittadini. Oggi già sappiamo che cosa succederà tra 10 o 20 anni. Non possiamo nascondere che viviamo in un Paese più vecchio, più solo e più povero. Questi sono elementi che devono far riflettere, anche da un punto di vista etico e deontologico, tutti i professionisti e le rappresentanze professionali che operano in questo Paese. Dobbiamo ragionare sui bisogni che avranno il nostro Paese e i nostri cittadini: abbiamo bisogno di territorialità, di domiciliarità, di prossimità, e questi sono campi di sviluppo importantissimi per la nostra professione. Sono campi dove gli infermieri hanno un vantaggio di competenze assoluto rispetto ad altri, perché gli infermieri sono nati per prendersi cura delle persone e dei loro bisogni di salute. Dove c’è un bisogno di salute, c’è un infermiere».