Scelgono di fare i frontalieri per stipendi più alti e possibilità di carriera, sono gli infermieri lombardi che durante la pandemia hanno varcato il confine ed ora non tornano più indietro. Fedeli (OPI Lecco): «Guadagnano dai 4000 ai 5000 franchi svizzeri, per trattenerli in Italia servirebbe un’indennità di prossimità»
Sono 4000 i lavoratori del comparto sanitario tra medici, infermieri e operatori sanitari che ogni giorno varcano il confine tra Italia e Svizzera per andare al lavoro nel vicino Canton Ticino. Numeri in costante crescita come confermano le statistiche: nel 2021 rispetto al 2020 i frontalieri sono aumentati del 5,5%. Un trend che ha avuto una spinta ulteriore dal Covid, tanto che secondo l’Ente Cantonale Ospedaliero il 12% del personale sanitario in piena pandemia, era rappresentato da frontalieri, con picchi del 30% nelle strutture private. Professionisti che ogni mattina attraversano il confine per andare a portare esperienza e professionalità negli ospedali pubblici e privati della Svizzera per poi fare ritorno a casa a fine turno. «In questo modo non sono costretti a trasferire la famiglia, ma possono beneficiare di migliori stipendi e crescita professionale». Nervi scoperti di una professione che in Italia è perennemente vittima dell’emorragia di camici bianchi non solo verso la vicina Svizzera, ma più in generale verso l’Europa.
Secondi i dati divulgati da FNOPI (Federazione Nazionale Ordini professioni infermieristiche), oltre ai frontalieri, sono 20 mila gli infermieri che hanno scelto di lasciare l’Italia. «Sono soprattutto giovani che hanno vissuto la fase del blocco delle assunzioni nel pubblico e, con un settore privato al limite della saturazione, hanno preferito l’estero – ammette Fabio Fedeli Presidente dell’Ordine degli infermieri di Lecco –. Poi è arrivata la pandemia ad aggravare la situazione e a dare una ulteriore spinta verso paesi professionalmente più attrattivi». Mete preferite Inghilterra e Germania dove sono complessivamente 6000 i professionisti italiani. «Essere vicini alla Svizzera, un paese attrattivo da questo punto di vista, ha incentivato negli anni ancor più la fuga in particolare dalla Lombardia e dalle provincie di confine come Lecco, Como e Varese – prosegue Fedeli -. La pandemia si è quindi innescata su un terreno già fertile ed ha contribuito in maniera significativa ad accrescere questa tendenza, mentre le strutture oltre confine sono diventate più ricettive per migliori condizioni remunerative e sviluppo di carriera». Basti pensare che uno stipendio medio per un infermiere in Svizzera va dai 4000 ai 5000 franchi svizzeri (il cambio è 1,02); «Questo significa che i frontalieri per lavorare in un ospedale del Canton Ticino guadagnano molto di più di un collega che presta servizio in un ospedale italiano e guadagna circa 1400 euro, ben al di sotto della media europee che si attesta sui 1900 euro, con punte di 2500 euro nei paesi anglosassoni».
Svizzera, Austria e anche Germania, oltre a garantire condizioni economiche migliori, offrono una maggiore valorizzazione delle competenze dei professionisti, con percorsi di crescita professionale nell’ambito della specializzazione. «In Italia un infermiere, a parte le maggiorazioni dello stipendio dovute esclusivamente all’anzianità di servizio, non ha possibilità di avere avanzamenti di carriera, anche se ha una specializzazione o un master – sottolinea il presidente di OPI Lecco – mentre in altri paesi, oltre ad avere una maggiore retribuzione, può avere una crescita professionale». Tra i paesi più attrattivi, l’Austria che è stata nel periodo pandemico, la mamma di tutte le “sirene”, capace di dare molti incentivi per il reclutamento. «Oltre ad uno stipendio più alto, ha garantito vitto e alloggio, un corso di lingua, mezzi pubblici gratuiti e, agli infermieri con una certa esperienza in terapia intensiva, anche l’assicurazione professionale gratuita».
«Durante la pandemia da Covid tutti gli infermieri si sono adattati a svolgere più mansioni, ma al termine del periodo pandemico chi ha maturato esperienza in un determinato ambito vorrebbe poter esprimere le proprie competenze – ribadisce Fedeli -, in Italia questo non sempre accade». Per trattenere i professionisti sanitari in Italia e riportare nel nostro paese gli infermieri oggi all’estero, si sono attivati anche gli ordini delle professioni infermieristiche con delle proposte. «Oggi si parla di una carenza di 70 mila professionisti in Italia, mentre 20 mila sono i professionisti che sono andati all’estero, se si riuscisse ad invertire la rotta, sarebbe un buon punto di partenza», fa notare Fedeli.
Tra le proposte avanzate a livello regionale – in Lombardia mancano circa 9000 unità – due sembrano essere particolarmente interessanti: il riconoscimento del ruolo dell’infermiere specialista clinico e l’indennità di prossimità. «In questo modo all’infermiere verrebbe riconosciuta una progressione di carriera sulla base delle competenze acquisite, mentre con l’indennità di prossimità, si prevederebbe un incentivo economico per le figure sanitarie che vivono al confine. Può essere il punto di partenza, ma non può bastare per frenare la fuga – ribadisce il presidente dell’ordine degli infermieri di Lecco – occorre cercare di costruire una sanità al passo coi tempi con personale sufficiente in modo da garantire il benessere lavorativo, riposi, ferie e personale di supporto».
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