Un Disegno di legge presentato da Rosa Menga (M5S) propone di inserire gli Informatori del farmaco all’interno dell’Ordine dei Chimici e dei Fisici. «La categoria non vuole più essere confusa con i promotori e anche il medico vuole sapere chi ha di fronte». L’associazione di categoria Fedaiisf stima tra 40mila e 50mila il numero totale ma non esiste un censimento
Alcune regioni, come la Sicilia, li hanno inseriti tra le categorie da vaccinare prioritariamente perché sono professionisti che hanno accesso alle strutture sanitarie. Ma l’Informatore scientifico del farmaco, ad oggi, non è un professionista sanitario. Ed è proprio su questo punto che si sta battendo da anni la Fedaiisf, la Federazione delle Associazioni Italiane degli Informatori Scientifici del Farmaco e del Parafarmaco, che chiede anche la costituzione di un Albo da inserire in un Ordine professionale.
«Stiamo lavorando assiduamente per un riconoscimento giuridico della professione. Siamo l’unica professione in Italia che pur avendo 18 tra leggi, decreti e altre norme, non ha un Ordine. Ci sembra una mancanza grave», spiega a Sanità Informazione Antonio Mazzarella, Presidente Fedaiisf.
Ora però – crisi di governo permettendo – c’è all’orizzonte una possibilità per dare dignità a questa professione: giace alla Camera dei deputati un Ddl (non ancora incardinato) a prima firma Rosa Menga, giovane parlamentare del Movimento Cinque Stelle e Medico di famiglia in formazione.
«A questo professionista spetta un compito importante – spiega la deputata –. Non la promozione di un determinato farmaco bensì l’informazione scientifica. È compito dell’informatore scientifico l’aggiornamento continuo del medico su quelle che sono le evidenze scientifiche che consentono di trattare al meglio i pazienti con i farmaci più efficaci e le terapie più innovative. Ma è anche compito dell’informatore la segnalazione degli eventi avversi, quindi la farmacovigilanza che è anche essenziale per monitorare gli effetti collaterali che i farmaci, anche dopo l’immissione in commercio, possono avere sui pazienti».
Il Ddl 2077, intitolato “Disposizioni per il riconoscimento della professione sanitaria di informatore scientifico del farmaco e per l’istituzione del relativo albo professionale”, prevede l’inserimento dell’Informatore scientifico del farmaco nell’Ordine dei Fisici e dei Chimici riconducendo il rapporto di lavoro di tale categoria professionale alla disciplina del contratto collettivo nazionale di lavoro dell’industria chimico-farmaceutica. E, soprattutto, il Ddl punta a modificare l’articolo 122 del Decreto legislativo 219 del 2006 specificando che «l’informazione sui medicinali deve essere fornita al medico e al farmacista dagli informatori scientifici» e non lasciata come semplice possibilità.
«Da questo inserimento nell’alveo delle professioni sanitarie – spiega Menga – deriverebbero una serie di tutele non soltanto per la categoria ma anche per i pazienti stessi che sono il fine ultimo del loro lavoro».
Oggi la realtà degli informatori scientifici del farmaco è piuttosto variegata. Non esiste un censimento ufficiale ma secondo la Fedaiisf il numero complessivo si aggira tra le 40mila e le 50mila unità, includendo anche gli informatori di parafarmaci, integratori e dispositivi medici. «In base al Decreto legislativo 219 del 2006 – spiega Mazzarella – le aziende del farmaco sono obbligate a comunicare a gennaio di ogni anno il numero, il nome e il tipo di contratto fatto agli informatori sul territorio. Questo però non lo fanno tutte le aziende. Inoltre, i parafarmaci sono normati da legge diverse rispetto al farmaco (sono classificati tra gli alimenti) e queste aziende non sono obbligate a comunicare niente a nessuno. Sono all’incirca diecimila gli informatori del farmaco con un contratto nazionale, intorno ai 15mila informatori con un contratto diverso da quello nazionale (a partita IVA) e almeno altri 20mila tra parafarmaco e dispositivi medici».
Oltre alle diversità contrattuali, gli informatori hanno anche diversi titoli di studio: ci sono laureati in biologia, farmacia, chimica e anche in medicina. Esistono anche dei corsi universitari in informazione scientifica, ma solo a Urbino e a Cosenza.
«Ciò che chiede la categoria dell’informatore scientifico è di essere riconosciuto nell’importante ruolo di informazione scientifica e non essere più confuso come il venditore porta a porta – spiega ancora l’onorevole Menga -. Ma lo chiede anche il professionista sanitario che interagisce con l’informatore: affinché i rapporti siano chiari e trasparenti è necessario che anche il medico che riceve l’informazione sappia chi ha di fronte, se un informatore o un promotore. Il riconoscimento come professione sanitaria e l’istituzione di un Albo in capo a un Ordine professionale scientifico serve anche a regolamentare i rapporti tra gli informatori scientifici e gli altri professionisti sanitari e a prevedere un codice deontologico a cui gli informatori scientifici devono poi attenersi. Purtroppo spesso gli informatori scientifici sono degli strumenti in mano anche alle legittime finalità di promozione di un prodotto da parte di un’azienda che per stare sul mercato deve fare profitti ma che avrebbe il compito al tempo stesso di curare l’aspetto dell’informazione scientifica. Le due cose devono camminare in parallelo ma su gambe diverse».
«L’Ordine è una garanzia anche per il medico, sapere che c’è un Ordine dietro il professionista che sta parlando del farmaco o del parafarmaco è importante – aggiunge Mazzarella -. Oggi purtroppo gli informatori sono inquadrati nell’area marketing ma stiamo lottando perché si venga tolti da quell’area: noi dovremmo entrare nel servizio Ricerca e Sviluppo. L’altro obiettivo è che tutti i colleghi che lavorano per il parafarmaco non siano assunti con contratti a partita Iva».
Con il Covid anche gli Informatori scientifici del farmaco e del parafarmaco hanno visto complicarsi il loro lavoro e, soprattutto quelli a partita Iva, ridurre sensibilmente le loro entrate. Per questo chiedono tutti di essere inseriti tra le categorie prioritarie da vaccinare. Molte regioni hanno risposto all’appello: Campania, Basilicata, Calabria, Lombardia, Liguria, Puglia hanno inserito gli ISF in prima fascia.
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