Si chiama Giuseppe Bungaro, non è ancora diplomato, ma trascorre intere giornate in sala operatoria. Ha progettato uno stent in tessuto pericardico che ha una biocompatibilità maggiore rispetto ad altri materiali. Si iscriverà a Medicina, e del numero chiuso pensa: «È un ostacolo al diritto allo studio»
«La prima volta che sono entrato in sala operatoria era il 12 dicembre 2015. Avevo 15 anni, e per me è stata una rivoluzione». Giuseppe Bungaro, quel giorno, non è entrato in sala operatoria da paziente. Due giorni prima aveva inviato il suo progetto di uno stent creato con tessuto pericardico, «che ha una biocompatibilità maggiore rispetto ad altri materiali», al dottor Fausto Castriota, allora responsabile dell’emodinamica del gruppo GVM. «L’ho trovato cercando su Internet i centri di eccellenza. Quando mi ha chiamato e mi ha detto di presentarmi da lui, al Maria Cecilia Hospital di Cotignola, in provincia di Ravenna, la sorpresa è stata enorme».
Non è ancora diplomato ma parla già come un medico, Giuseppe, anche se con la voce da ragazzo. Quando lo contatto per l’intervista, è in aeroporto: «Sto andando a Roma, domani sono in diretta su Uno Mattina». Da quel giorno in sala operatoria, la sua vita è cambiata: ha vinto l’European Union Contest for Young Scientists ed è stato selezionato tra le 100 Eccellenze Italiane, e adesso è cercato da tutti. «In realtà non so neanche chi mi ha candidato – ci rivela -, perché non sono stato io, né i miei familiari. Però quando venerdì scorso sono stato a Montecitorio per ricevere il premio, mi sono sentito veramente onorato. Ero il più piccolo, e non mi sentivo proprio a mio agio. Ma trovarmi lì con personaggi di spicco di qualsiasi categoria è stato bello. Mi sono potuto confrontare con docenti universitari importanti ed erano tutti sbalorditi per la mia giovane età. Mi hanno fatto tanti complimenti».
Giuseppe a 15 anni ha iniziato ad occuparsi di angioplastiche per ‘interesse personale’: «Avevo un problema di salute, e anche mia cugina. Allora mi sono messo a studiare, da solo. Mi sono imbattuto negli stent e ho letto delle complicanze post-operatorie dei pazienti trattati con angioplastica percutanea – ricorda –. Allora ho pensato a un modo per superare questo ostacolo. Utilizzando dei nuovi materiali, come il tessuto pericardico, si evitano alcune complicanze post-operatorie importanti, quali la dissezione del vaso in cui viene impiantato lo stent o la formazione di uno stato infiammatorio sistemico, perché molte volte il nostro sistema immunitario attacca la protesi perché è in metallo. Inoltre, il paziente con stent in tessuto può essere sottoposto a risonanza magnetica nucleare». Giuro di non aver modificato una parola. Lo dicevo che parla già come un medico.
Con il dottor Castriota, Giuseppe ha iniziato un tirocinio pre-accademico, imparando come funziona un’angioplastica e studiando gli stent che sono oggi in commercio. «Così ho potuto scoprire il mondo della cardiochirurgia, che a me piace tantissimo», racconta. Poi ha fatto uno stage presso il Centro di Medicina rigenerativa SWITH di Lugo, vicino Ravenna, dove ha studiato le proprietà chimiche e fisiche di questo tessuto. «E da lì è nato tutto». Ha quindi continuato il suo percorso al Città di Lecce Hospital approfittando dell’alternanza scuola-lavoro con il dottor Luigi Specchia, «che mi ha accolto come un figlio. Ancora oggi spesso vado in sala operatoria con lui. Mi lavo al tavolo operatorio con i chirurghi e guardo l’intervento, in modo da poter conoscere i tessuti umani e le tecniche chirurgiche che vengono utilizzate per le varie patologie».
Torna un normale diciottenne, però, quando gli chiedo dei cambiamenti radicali avvenuti nella sua vita negli ultimi tre anni. Si lamenta perché non può uscire spesso con gli amici, ma i motivi sono diversi rispetto ai suoi coetanei: «Li vedo raramente, perché se vado in sala operatoria sto in ospedale dalle 5.00 di mattina alle 8.00 di sera, quindi torno a casa distrutto. Spesso, poi, sono in viaggio per conferenze o concorsi, quindi a casa ci sto poco».
LEGGI ANCHE: SCIOPERO MEDICI, LA VOCE DEGLI STUDENTI: «SENZA PROGRAMMAZIONE E FINANZIAMENTI IL NOSTRO FUTURO È DRAMMATICO»
A casa sono (ovviamente) tutti contenti e orgogliosi di lui: «I miei genitori non se lo aspettavano minimamente, anche perché in famiglia nessuno è medico, né è specializzato in ambito sanitario, quindi sono rimasti molto sorpresi». E i professori? «Quelli di biologia sono felici e mi hanno sostenuto in tutto, così come il dirigente scolastico. Altri, un po’ meno…».
Intanto, Giuseppe a giugno affronterà la maturità scientifica, ma si sta già preparando per l’università. Ha scelto Medicina (ovviamente bis) e a marzo affronterà il test per il San Raffaele di Milano: «Speriamo bene», dice ridacchiando. Impossibile non commentare il numero chiuso, allora: «Il test fa una selezione iniziale, ma è anche un ostacolo al diritto allo studio. Bisognerebbe adeguarsi agli altri stati europei, che hanno il numero chiuso all’interno delle università: la selezione viene fatta al secondo anno, sia in base alle valutazioni conseguite agli esami sia in base alla preparazione dello studente. Si dà quindi a tutti l’opportunità di entrare, e poi si premia l’eccellenza». Poi, se a 18 anni si è già stati premiati come eccellenza, il discorso è ben diverso.
LEGGI ANCHE: NUMERO CHIUSO, ZAULI (UNIV. FERRARA) ROMPE FRONTE DEI RETTORI: «NON SIA QUIZ A SELEZIONARE MEDICI DEL FUTURO»