Pagliariccio (psicologo): «Tra le nuove generazioni c’è chi ritiene che l’utilizzo dei social sia faticoso, che generi un sovraccarico cognitivo, che non risponda ai propri bisogni personali. I giovani d’oggi abbandonano senza remore ciò che non li rende felici»
Abbandonano il lavoro quando si rendono conto di non essere felici, che quell’impiego non rispecchia nemmeno lontanamente ciò che avevano sognavano per il proprio futuro. È la scelta di molti millennial, i nati tra gli anni ’80 e il 2000. Una scelta di fuga che, invece, tra i giovani che appartengono alla generazione successiva, la gen Z, si sta manifestando soprattutto nel mondo virtuale: c’è chi sceglie di non aprire nessun account e chi di chiudere quelli già attivi.
«Tra i giovani si è diffusa una forma di affaticamento che può sicuramente incidere sia sulle scelte lavorative, spingendo chi non è soddisfatto a cercare un altro impiego, sia sull’uso dei social network – spiega Cristian Pagliariccio, psicologo, membro dell’Ordine degli Psicologi del Lazio -. Tra le nuove generazioni c’è chi ritiene che l’utilizzo dei social sia faticoso, che generi un sovraccarico cognitivo, che non risponda ai propri bisogni personali». Detto alla vecchia maniera, “il gioco non vale la candela”.
È Instagram la piattaforma preferita dai giovani, seguita da TikTok e Twitter, mentre Facebook è sempre più considerato un social da adulti. È emerso da una ricerca pubblicata dal Pew Research Center, dalla quale è emerso pure che il 90% dei millennial, nel 2021, ha navigato sui social alla ricerca di nuovi marchi e prodotti, per confrontarne le recensioni e scovare le migliori offerte. «Molti di coloro che si sono iscritti ai social network per finalità ludiche, oggi ritengono che queste piattaforme siano poco attrattive proprio perché non offrono il divertimento sperato – spiega lo psicologo -. I social, poi, hanno diffuso anche un notevole senso di solitudine: nel mondo virtuale si incontrano troppe persone, così tante, che quasi mai si riesce ad instaurare un rapporto autentico, che dia un’adeguata soddisfazione anche dal punto di vista emotivo ed affettivo».
Ad accelerare questa percezione di insoddisfazione, poi, ci ha pensato la pandemia che, seminando paure, insicurezze e offrendo lunghi momenti di riflessione, ha indotto molte persone, sia giovani che non, a riflettere sulla propria vita e, soprattutto, sul livello di felicità e benessere percepiti. «Durante l’emergenza sanitaria alcune attività hanno subito un’inevitabile battuta d’arresto. Ed è proprio quando si fa a meno di qualcosa, anche per un periodo limitato, che si scopre la sua reale importanza. Addirittura – aggiunge Pagliariccio – ci si può rendere conto che la sua assenza ha migliorato la nostra vita».
Attenzione però: cancellare i propri profili virtuali non equivale ad una totale disconnessione. «Molti giovani, ad esempio, guardano serie tv e film per poterne, poi, dibattere in rete. Si tratta, dunque, sempre di una forma di socialità virtuale che non punta più a mostrare se stessi, ma il proprio pensiero – dice l’esperto -. È paradossale osservare come i giovanissimi, nati nell’era delle connessioni, abbandonino più facilmente l’uso dei social, mentre gli adulti che hanno imparato ad usarli da grandi dopo un tentativo di disconnessione, ed anche di disintossicazione, decidano quasi sempre di ritornare a navigare su queste piattaforme».
Secondo gli studi di David Greenfield, professore di psichiatria all’Università del Connecticut, l’attaccamento ai social network e allo smartphone, causando importanti interferenze nella produzione della dopamina – il neurotrasmettitore che regola il circuito cerebrale della ricompensa – è paragonabile a qualsiasi altra dipendenza. «La speranza è che dopo un primo boom, che ha portato ad un uso smodato dei social, la tendenza si stabilizzi, limitando anche la diffusione dei disagi e delle psicopatologie correlate alla dipendenza da internet. Anche se, con l’avvento del metaverso – conclude Pagliariccio – potrebbe innescarsi un altro effetto sorpresa con un conseguente nuovo ed incontrollato accanimento».
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