Vaccari: «Nostro ruolo trasversale per continuità assistenziale, così sosteniamo le neo mamme dal travaglio all’allattamento»
Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio, recita un proverbio africano. Impossibile non associare questo detto a quella rete di supporto, spesso esclusivamente femminile, che fino a un secolo fa circondava le puerpere e i neonati nel delicato periodo del post-parto, e che in molte culture è ancora oggi una realtà. Nel mondo occidentale e in Italia, invece, le neo-mamme sono sempre più sole, con il prevedibile corollario di fragilità ad accompagnarle. Motivo per il quale, anche alla luce del recente tragico caso di cronaca del Pertini, appare urgente una riflessione su come declinare le tipiche pratiche di gestione del post-parto nel modo più sicuro possibile per mamma e bambino, e di come rimodulare la loro presa in carico ospedaliera e domiciliare. Ne abbiamo parlato con Silvia Vaccari, presidente FNOPO (Federazione Nazionale Ordine Ostetriche).
«Il rooming-in, che prevede la presenza del bambino h24 nella stessa stanza della madre sin da subito dopo il parto, è sicuramente una pratica positiva, diffusa nella maggior parte delle strutture e sostenuta dall’OMS, in quanto favorisce l’attaccamento e l’allattamento al seno, e costituisce un importante momento di costruzione della diade madre-bambino. Alcune strutture davvero virtuose prevedono anche la presenza del padre nei primi giorni di esogestazione. Tuttavia è chiaro che questa pratica deve essere adeguatamente supportata da un attento controllo da parte del personale in servizio per garantire il benessere della madre e del bambino».
«Esatto, e le due pratiche non devono sovrapporsi o essere confuse, anche a livello domiciliare. Il co-sleeping prevede che il neonato dorma nello stesso letto con la madre, e non è una pratica che viene suggerita in quanto non è esente da rischi. Per quanto sia comunque importante andare incontro al legittimo desiderio di riposo delle mamme, il co-sleeping non permette un controllo efficace della posizione del bambino anche durante l’allattamento, perché è una posizione “viziata”, comoda per la mamma soprattutto in alcune situazioni, come a seguito di un cesareo, ma spesso non è quella indicata per il neonato. Un compromesso adatto è rappresentato dalle culle che possono essere agganciate al letto della madre, in modo tale che il bambino sia comunque di fianco a lei ma senza il rischio di incidenti legati all’involontario scivolamento del corpo della madre durante il sonno, che potrebbe schiacciare il neonato».
«In Italia molti ospedali hanno ancora al loro interno il nido, con figure professionali responsabili del neonati, come la puericultrice. Tuttavia oggi il corso di studi in puericultura non esiste più e, nonostante le attuali puericultrici siano professioniste eccezionali, sono per la maggior parte prossime alla pensione. Verranno presumibilmente sostituite da figure infermieristiche e infermieristico-pediatriche, oppure come noi auspichiamo, con un modello monoprofessionale che in alcune realtà sta già funzionando molto bene, attraverso il ruolo dell’ostetrica».
«La parola chiave è continuità assistenziale, su cui la figura dell’ Ostetrica ha, in quest’ambito, la formazione necessaria: competente sulla fisiologia del neonato, formata sui processi che sottendono la gravidanza, di supporto durante la fase del travaglio e del parto, ma anche nel puerperio, per il quale ci auguriamo si attivino i servizi domiciliari. In alcune Regioni sono già una realtà, per continuare a sostenere anche una volta a casa le neomamme in un momento così delicato, di fragilità e, troppo spesso, solitudine».
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